Terminati che sono i Mondiali di nuoto di Roma 2009 che hanno visto in grande spolvero la nostra Federica Pellegrini e un Michael Phelps più “terrestre”, anche se ha vinto diverse medaglie d’oro, ma non 8 o 7, con diversi record; l’Italia è finita sesta nel medagliere e, visto il marginale apporto dei maschietti, con un Massimiliano Rosolino al capolinea, il risultato è ottimo. Ma adesso ahinoi arriveranno le note dolenti. Dal 15 agosto partiranno, a Berlino, che in noi evoca sogni iridati, i mondiali di atletica leggera. Una volta, un tempo che sembra 20-25 anni fa, ci difendevamo bene grazie ad Alberto Cova e Pietro Mennea, ma anche grazie a Francesco Panetta e Alessandro Lambruschini che sui 3000 siepi erano i primi dei terrestri, cioè esclusi i keniani che fanno gara e categoria a parte.
Adesso siamo relegati al ruolo di comparsa, se si eccettua qualche exploit nella marcia e nei salti con Andrew Howe, Antonietta Di Martino e Giuseppe Gibilisco, peraltro i due maschietti sono stati inseriti con riserva nella comitiva. In altre parole siamo, nell’atletica, nella situazione che avevamo nel nuoto intorno alla metà degli anni novanta, forse peggio però, in quanto lì già si scorgevano i freschi virgulti Emiliano Brembilla, Domenico Fioravanti e Massimiliano Rosolino che, di lì a poco, sarebbero stati gli artefici e i precursori della marea azzurra che da Sidney 2000 in poi avrebbe riscattato l’italico movimento del nuoto. Ancora una volta più che una carenza di talenti sembrerebbe esserci una carenza organizzativa che giocoforza si ripercuote nel reclutamento e nella crescita di giovani, se non si ovvia a questa situazione il nostro medagliere atletico sarà sempre inchiodato intorno alla 25esima posizione. Se non peggio. Abbiamo la scuola della marcia, e va bene, qualche maratoneta, Baldini, in passato ci ha tolto qualche schiaffo dalla faccia. Ma tutto questo può bastare agli appassionati? Dov’è finita la tradizione nel mezzofondo? Il vuoto dopo Alberto Cova, Francesco Panetta e Salvatore Antibo. Rimpiangiamo anche uno come Gennaro Di Napoli, che la finale dei 1500 perlomeno la faceva sempre. E invece per vedere qualche podio, nel recente passato, abbiamo dovuto sperare in una, Fiona May, che italiana non è, e in uno, Andrew Howe, che italiano non lo è al 100%. Non si tratta di razzismo, per carità, ma la semplice constatazione che comunque, in entrambi i casi, la formazione atletica è avvenuta perlopiù all’estero, nel caso di Fiona May possiamo anche dire completamente, dal momento che abbiamo importato, complice un matrimonio, un’atleta fatta e finita. E anche nel caso di Giuseppe Gibilisco i progressi, e la medaglia d’oro (ohibò!) ai mondiali di Parigi del 2003, sono il frutto, in qualche caso contestato, degli allenamenti con il trainer russo, Vitaliy Petrov, che nella defunta Unione Sovietica aveva allenato il grande Sergei Bubka. Vedremo, le prospettive sono tutt’altro che rosee, e tutta questa pressione su Alex Schwazer, olimpionico della marcia a Pechino, sul quale tanto punta la spedizione italica, rischia di deconcentrare l’azzurro. I tifosi si dovranno accontentare della falcata di Usain Bolt, l’uomo più veloce del mondo, e della resistenza alla velocità di Kenenisa Bekele, erede, ma forse diventerà ancora più grande, del grande boss etiope del mezzofondo, l’eroe nazionale Haile Gebrselassie. I due sono protagonisti attesi, ma Tyson Gay ha giurato che metterà la testa davanti a Usain Bolt mentre l’etiope non è dato in grandissima forma. Ma Kenenisa Bekele (foto) è in grado di vincere anche con una gamba sola. Detto di Shwazer gli italiani si attendono molto da Howe, anche se, non ce ne voglia l’azzurro, il panamense Irving Saladino sembra avere maggiori risorse fisiche e psichiche. Agli italiani non resterà che, come un tempo miravano Carl Lewis e Said Aouita, vedere le stelle…
Massimo Bencivenga |