Forse domani il mondo di Google omaggerà l’uomo che nacque come Cassius Clay e che, presumibilmente, morirà come Muhammad Alì: l’uomo che domani compirà 70 anni. In tanti lo ritengono il più grande pugile del secolo scorso, ma non è vero. Ce ne sono stati, eccome!, di migliori, ma nessuno è stato capace di diventare una leggenda in vita.
Il campione di Louisville si rivelò al mondo alle Olimpiadi di Roma 1960, laddove conquistò un bell’oro e per la prima volta il mondo ammirò un ballerino capace di far saettare dei pugni mica da ridere. Cassius Clay diceva della sua boxe: “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”.
Passato professionista cominciò ad imporsi come pugile e come istrionico guascone. Gli venne data la chance contro il grande e potente Sonny Liston, con lui Cassius Marcellus Clay, si chiamava ancora così, cominciò a sperimentale la psyco-war.
Clay insultava appena poteva Sonny, si fece ritrarre sul ring contro un avversario camuffato da grizzly, si fece fotografare con i Beatles. Sia come sia Clay ebbe ala sua chance.
Per il grande Rocky Marciano,un pugile di origine italiane ritiratosi con un record immacolato, Clay non aveva speranze contro la potenza e l’esperienza di Sonny Liston. Ed infatti, come volevasi dimostrare, Clay vinse facendo stancare il grizzly nei primi round per poi dominare il sesto round. Alla settima ripresa Sonny rimase all’angolo. Questo match, ancora oggi, è indicato come una combine.
Era il 25 Febbraio del 1964, a Miami, Cassius Clay aggiornava l’elenco dei campioni del mondo dei pesi massimi.
Poco dopo, influenzato dalle idee di Malcom X, Clay divenne Muhammad Alì. La rivincita tra i due, nel Maine nel Maggio del 1965, fu ugualmente, secondo alcuni, una bella sbruffonata; la potenza e l’irruenza di Sonny erano ormai un ricordo, il vecchio leone (Alì lo chiamava orso), venne messo giù dal famoso “pugno fantasma”.
L’immagine di Alì che lo invita a rialzarsi è una delle immagini cult della boxe del novecento (foto).
Alì difese diverse volte il suo titolo ma, come si suol dire, la fece fuori dal vasino quando, alla chiamata per il Vietnam, lui rispose: “I got nothing against the Vietcong, they never called me "nigger"”, ossia Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato "negro".
Questa affermazione, gli costò il titolo e la squalifica. Tornò a combattere nel 1971 ma, dopo una serie di vittorie, non gli riuscì di riprendersi il suo titolo in quanto fu battuto ai punti dal nuovo astro nascente della boxe: Joe Frazier, detto smoking.
Alì riprese la sua scalata verso una nuova chance mondiale, ma Ken Norton, un nero gigantesco, in seguito attore di Mandingo, lo vinse fratturandogli la mandibola. Alì volle la rivincita e la spuntò ai punti. Il titolo aveva di nuovo cambiato padrone, Joe Frazier era stato battuto da George Foreman, e per arrivare a George bisognava passare per Joe.
La rivincita tra Joe e Alì è conosciuta nell’ambiente come “Thrilla in Manila”. I due se le suonarono di santa ragione; prima dell'inizio della quindicesima ed ultima ripresa l'allenatore di Frazier ritirò il suo atleta. Lo stesso Ali dichiarò in seguito di non sapere se sarebbe stato in grado di continuare l’incontro qualora Frazier non si fosse ritirato. Un match leggendario, reso immortale dalla rara bellezza tecnica e dall'enorme coraggio dimostrato da questi due immensi campioni.
La rivincita fece da apripista per il match contro Foreman, che si tenne a Kinshasa, Zaire. La storia di questo incontro è stata ampiamente sceneggiata nel docu-film Quando eravamo re.
Alì caricò come non mai l’incontro, ne fece quasi una disputa razziale nella quale lui era l’alfiere dei neri. Solo che anche George Foreman era nero.
Alla fine però tutti dicevano: “Alì bumaye!”. Alì uccidilo.
Anche in questa occasione Alì si dimostrò straordinariamente sagace tatticamente, non potendo peraltro contrastare sulla potenza George lo fece stancare per poi abbatterlo.
Era il 30 Ottobre del 1974 e la Rai si rifiutò di trasmettere l’incontrò che fu visibile su Tele Capodistria, oggi emittente slovena, ma ai tempi Jugoslava.
Nel 1978 perse il titolo con Leon Spinks, passato alla storia, o quasi, solo per aver combattuto battuto, per due volte contro il grande, e ormai decadente, Alì, che comunque lo battè nella rivincita.
Dopo aver riconquistato la corona, annunciò il ritiro ma, nel 1980, a 38 anni suonati, eccolo lì a sfidare Larry Holmes, il nuovo re. Gettò la spugna alla decima ripresa. Tornò di nuovo a combattere contro tal Trevor Berbick, un altro passato alla storia della boxe per essere stato l’ultimo avversario di Alì e per essere stato il campione abbattuto, nel 1986, da un giovane Mike Tyson.
Poi, per Alì, venne il Parkinson, ma anche riconoscimenti che non ebbe da pugile, gli furono restituite medaglie ed onori e fu lui l’ultimo tedoforo di Atlanta 1996.
Il suo incedere tremante non impietosì il mondo. Lo affascinò, come c’era da aspettarsi da uno che, sin da giovane, ha usato il suo corpo come uno straordinario veicolo comunicativo.
Non è stato il miglior massimo di sempre.
E’ stato solo il più grande, quello capace di diventare, ancora in vita, una leggenda.
Buon compleanno Alì.
Massimo Bencivenga
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