 Mark Hertsgaard, un blogger “verde” molto influente, che non ha mai mancato di far notare le promesse non mantenute da Obama sull’ambiente, torna a farsi sentire. Lo fa in merito all’oleodotto Keystone XL che dovrebbe trasportare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada e portarlo negli Usa, sin nel golfo del Messico.
La decisione di non interferire con la costruzione dell’oleodotto stride fortemente con le dichiarazioni dello stesso Obama nel Giugno del 2013, quando ebbe a dire che avrebbe approvato il progetto “solo se questo progetto non aggraverà in maniera significativa il problema dell’inquinamento da biossido di carbonio”.
Il punto è che il petrolio così estratto è particolarmente inquinante, nonché tra i tipi di carburante che più di tutti impattano sul Co2.
Un portavoce del Dipartimento di Stato, che ha giurisdizione e competenza dal momento che l’oleodotto attraversa un confine, ha fatto sapere che l’amministrazione ha rimandato la decisione sul via libera o meno al prossimo Novembre, probabilmente dopo le elezioni di mid.term. L’amministrazione Obama fece la stessa cosa nel 2012, quando decise di prendersi ancora tempo per studiare il progetto prima di decidere.
Qualche anno fa gli ambientalisti di tutti gli Stati d’America, insieme a quelli del Canada, effettuarono una marcia e fecero cause su cause. Ecco, senza quelle dimostrazioni forse Obama avrebbe già dato il placet; perché, come sapete, un politico dipende dal consenso.
Obama nel 2008 fece una campagna elettorale straordinaria, ponendosi non solo come un presidente nero, o come un campione del melting polt a stelle e strisce, ma altresì come un presidente verde.
Il punto è che nolente o volente, Obama è a capo di un petrostato. Un paese OPEC a tutti gli effetti tranne che sulla carta. Gli Usa sono produttori di energia, mentre l’Europa e il Giappone sono consumatori, così come lo sono anche i nuovi giganti Cina e India.
Devono vendere la loro energia. Se partiamo da questo presupposto non devono stupire le reticenze e i rifiuti degli Usa a firmare, sottoscrivere e rispettare i parametri internazionali. Do you remember Kyoto e Copenhagen? Al Gore era vicepresidente Usa quando gli stessi decisero di non firmare Kyoto.
Il politico che tocca il petrolio negli Usa gioca con la corrente ad alta tensione.
Non si tratta solo della forza economica delle compagnie. Il petrolio è intimamente legato alla cultura Usa. E non potrebbe essere altrimenti. Le scoperte dei giacimenti in Texas, Oklahoma e altri Stati dell’Ovest negli anni ’30 del secolo scorso permisero agli Usa di avere vantaggio competitivo nella diplomazia, negli affari e nelle cose militari. Gli Usa vinsero la Seconda Guerra Mondiale perché ebbero a disposizione il loro petrolio per far muovere i loro mezzi e per avere l’energia necessaria a costruire le navi che fecero la differenza tra le forze dell’Asse e gli Alleati.
Ma anche l’americano medio sa ed ben consapevole che la sua ricchezza, quale che sia, e la sua posizione dipende dal petrolio.
Copiosi approvvigionamenti dopo la Guerra permisero la costruzioni di autostrade, la produzione e la vendita di automobili. Il Petrolio fu il carburante, vero e figurato, del boom economico. Era una situazioni in cui tutti gli attori vincevano. I politici, che intascarono consenso e l’appoggio delle lobby; i sindacati, che gongolarono per nuovi posti di lavoro; gli agricoltori, dal momento che i fertilizzanti a base di petrolio fecero esplodere i raccolti; e il comune cittadino, che lavorava e si comprava le auto.
Ed e per questi motivi che da quasi un secolo ampie fasce degli americani e dei loro politici considera il petrolio come un tutt’uno con gli interessi nazionali degli Usa.
Il governo, dal canto suo, ha concesso sempre sgravi fiscali alle compagnie Big Oil. Tra il 1918 e il 2009, il settore del gas e del petrolio ha avuto i deu terzi del sussidio, una somma pari a 4,86 miliardi di dollari l’anno (calcolati sul valore del dollaro nel 2010). Cifre che non tengono conto del sussidio più dispendioso: quello per le spese militari. Da sola, questa sovvenzione può essere quantificabile nella cifra di 235 miliardi di dollari l’anno dal 1976 al 2007.
Ecco, quando si parla del complesso militare-industriale Usa, e di come lo stesso, caduto il muro, sia rimasto senza nemico (e pertanto soggetto a tagli) bisognerebbe pensare che lo stesso non può fare a meno del Petrolio che mette in moto il complesso militare-industriale.
In uno slogan: gli Usa sono il petrolio.
Adesso capite perché Obama è reticente?
Massimo Bencivenga |