Un po’ di tempo fa parlavo di Democratura di Putin, e di come il Presidente stesse facendo pressione per portare il mandato presidenziale a sei anni e arrivare, con una rielezione, al 2024. Una impresa che, se portata a compimento, avrebbe del clamoroso: forse solo Stalin è riuscito a restare in sella per un quarto di secolo.
In realtà esprimevo dubbi sulla riuscita della stessa, anche una democrazia lenta come quella russa, affascinata da uomini forti (non che l’Italia sia tanto diversa), potrebbe ribellarsi a un “sovrano”. A un cattivo sovrano. Ebbene, sembra che non corra già buon sangue tra lui, intendo Putin, e il suo delfino nonché primo ministro Dimitri Medvedev.
L’idea è che con il ritorno alla presidenza di Putin son ritornati i falchi e si stanno mangiando le colombe, vedi il siluramento di Vladislav Surkov, reo di aver difeso l’operato del governo dagli attacchi del presidente Putin. Si prospetta un autunno caldo per Medvedev; del resto qualcuno il buon Volodja dovrà pur incolpare per il paese in recessione, o meglio, in crescita meno forte del previsto. Il qualcuno da incolpare sarà Dimitri Medvedev, e le sue politiche.
Con Putin son ritornati i siloviki al comando. Con il termine siloviki s’intendono gli ex uomini degli apparati di sicurezza, in genere ex Kgb, ex Gru e così via.
Sergei Ivanov (ex Kgb) è diventato il capo dell’amministrazione presidenziale, con Vyacheslav Volodin vice. Un altro ex Kgb (come Putin), Igor Sechin ha preso il comando della Rosneft, la più grande compagnia petrolifera del mondo, con un piede anche in Italia attraverso la morattiana Saras. In forte ascesa anche l’uomo dei dossier verso gli avversari politici, Alexsandr Bastrykin.
Dal nuovo Putin stanno prendendo le distanze le personalità più morbide. Alexei Kudrin, ministro delle Finanze tanto con Putin quanto con Medvedev, si rifiuta di tornare al governo, anche se qualcuno pensa a lui come un possibile sostituto di Medvedev stesso. Lui nicchia, perché in questi anni poco o nulla si è fatto per affrancare la tenuta economica del paese dall’andamento del mercato dell’energia. Il risultato di questa miopia è una recessione nel momento in cui Gazprom ha ridotto esportazioni e utili (-10%). A completare il tutto, una corruzione dilagante, assurta quasi a sistema, e una emorragia di capitali che non accenna a sanarsi.
Già, e gli oligarchi? I capitani d’industria che avrebbero dovuto traghettare le imprese russe nel mercato globale cosa ne pensano? Alcuni stanno con Putin, altri con Medvedev. Altri attendono. Roman Abramovic è dalla parte di Putin; come pure il magnate dell’alluminio Oleg Deripaska. Della cerchia di Putin fanno parte altresì: Alexei Mordashov; Gennadi Timchenko; i fratelli Rotenberg, Arkady e Boris; Yuri Kovalchuk, maggior azionista della Banca Rossya. Alcune di queste persone conoscono Putin da una vita, sono i “Peter’s Boys”, il clan degli amici di San Pietroburgo.
Nel corso degli anni, qualche amico con i rubli se l’è fatto anche Medvedev. Gente come Alisher Usmanov, attuale uomo più ricco della Russia; c’è poi (ci sarebbe, con i russi non si sa mai) anche Ziyavudin Magomedov e Mikhail Abyzov. Considerati vicini a Medvedev sono anche Viktor Vekselberg e la triade, di tutto rispetto, Mikhail Fridman, German Kahn e Piotr Aven.
Poi ci sono quelli che per adesso hanno una posizione di attesa. Come Suleiman Kerimov. E poi ci sono quelli che Putin hanno avuto l’ardire di sfidarlo apertamente, e mi riferisco a Mikhail Prokhorov e Aleksandr Lebedev.
Staremo a vedere…
Massimo Bencivenga
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