Le elezioni siciliane, viste, non senza un pizzico di esagerazione, come una anteprima di quelle nazionali sono appena terminate. E ci sono, al solito, dei segnali; il punto è l’interpretazione, o meglio la giusta interpretazione, degli stessi. Chi ha vinto? Già qui cominciano le note dolenti. Ha vinto Rosario Crocetta, candidato Pd-Udc-Api-Psi, riportando una percentuale intorno al 30,5%, giova ricordare che alle Regionali non è previsto il ballottaggio. Bersani è su di giri, ma vorrei ricordargli che alle ultime elezioni il Pd prese il 18,8%, adesso si è fermato al 13,4%. Se è contento lui di perdere così tanto!
Rosario Crocetta è un suo candidato, ma quelli del Pd l’avrebbero affatto spuntata se non si fossero alleati con l’Udc, il partito dell’ex presidente Cuffaro. Anche l’Udc, vincente come 4 anni fa, ha fatto registrare il segno meno, essendo passato dal 12,5% al 10,8%. E questi sono i partiti che hanno vinto, figuriamoci gli altri.
Il Pdl da queste parti, nel 2008, vinse quasi da solo, totalizzando il 33,5%, ieri invece la performance era inchiodata al 12,9%. Angelino Alfano, il segretario che pure tanto si era speso per queste elezioni, ha detto che: “La Sicilia ci insegna che ci sono due modi per far vincere un partito di sinistra, uno è votarlo, l’altro è quello di dividere in più partiti il campo dei moderati. L’esperimento è perfettamente riuscito anche stavolta. Il risultato del 25% (come risultato di coalizione, aggiungo) del nostro candidato mi sembra, nelle condizioni date, straordinariamente positivo. E’ la prova che il centrodestra c’è ed è potenzialmente vincente. Bisogna unificare l’area alternativa alla sinistra e parlare a quell’elettorato che anche in Sicilia ha deciso di non andare a votare”. E ha ragione, perché se proviamo a sommare i voti di Musumeci a quelli di Miccichè, magari aggiungendoci anche quelli dello storico alleato Udc si arriva oltre il 50%. Per dire, non è cambiato nulla. Il Gattopardo è duro a morire.
Male Idv e la galassia dei comunisti, ma a queste latitudini (a parte lo strano caso di Leoluca Orlando) non è una novità; male oggi, come male anche 4 anni fa: non mandano alcun rappresentante alla Regione, non ne hanno avuti in questi ultimi anni.
Il risultato eclatante, checché se ne dica, viene dal M5S di Beppe Grillo che, con il suo candidato Cancelleri (e non Cancellieri), è passato dall’2,4% di Sonia Alfano al 18,2%.
Tutto ciò va considerato alla luce della grandissima astensione che ha reso ancora più difficili da interpretare, in chiave nazionale, il risultato siciliano.
Il 30% che non ha votato (ponendo come ipotesi una affluenza al 77% su scala nazionale) chi avrebbe votato? Sono voti in meno al Pd, al Pdl, all’Udc o al M5S stesso? E come intercettare questo malcontento?
Una cosa voglio dire.
Al sud, Grillo e i suoi, sinora almeno, avevano ottenuto sempre dei risultati che andavano a peggiorare la media su scala nazionale. Forse perché al sud il politico vecchio stampo, maneggione, corrotto e corruttibile, è sempre preferibile, per un posto di lavoro o una raccomandazione, allo sgallettato di turno. Al sud serve un amico nel sistema non uno che vuole smantellare il sistema.
Alla luce di ciò, mi sento di dire che se in Sicilia c’è un risultato del genere, i partiti tradizionali dovranno sin da ora pensare a confrontarsi con un nuovo soggetto capace di superare il 20% nazionale, che non è affatto poco e che, con l’attuale legge elettorale, potrebbe creare una situazione di stallo. Situazione che peraltro già c’è in Sicilia, laddove Crocetta dovrà scendere a patti con Musumeci e Miccichè. In Sicilia ha vinto il gattopardismo.
Massimo Bencivenga
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