Sopot 2014, il punto più basso dell’Atletica italiana?
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Sopot 2014, il punto più basso dell’Atletica italiana?

I mondiali polacchi c'impongono un qualche cambiamento. Ci riusciremo?

Sopot 2014, il punto più basso dell’Atletica italiana?

Abbiamo toccato il fondo? Difficile dirlo, perché quando uno pensa di averlo toccato si accorge che le cose, in ossequio alla sacra Legge di Murphy, possono andare ancora peggio.

L’Atletica italiana, ai recenti mondiali indoor di Sopot in Polonia, ritorna a casa con la testa bassa e con un misero sesto posto, peraltro unico piazzamento entro i primi otto, nel salto in alto, laddove Fassinotti si è comportato bene, pur non timbrando né eguagliando il suo personale.

Una gara particolare quella dell’alto, dove il favoritissimo Ivan Uchov ha fatto un po’ lo sbruffone convinto di avere la vittoria in tasca e s’è dovuto accontentare dell’argento, dal momento che l’oro è andato al quatarino Mutaz Essa Barshim, peraltro non niente affatto un Carneade dal momento che a Londra 2012 conquistò un bronzo.

Barshim è un lungagnone magro da far paura, di padre quatarino e madre sudanese, allenato dal tecnico slavo Stanisław Szczyrba.

Un possibile big per i prossimi 10 anni, il ragazzo ha talento e qualità.

Ma torniamo a noi.
Non è la prima volta che torniamo a casa senza medaglie, ma stavolta otteniamo il punteggio peggiore di sempre, dal momento che il sesto posto di Fassinotti peggiora il risultato della spedizione azzurra a Doha 2010, laddove il miglior piazzamento fu il quinto posto di Donato nel triplo.

Come siamo arrivati a questo?
Con anni e anni di politica scellerata e di scelte sbagliate.
Come uscirne fuori?
Per uscire dal pantano basterebbero, per iniziare, due semplici accorgimenti. 

Un miglior reclutamento.
Una migliore formazione.

Il reclutamento si fa partendo dal basso, dalle scuole, con i giochi della gioventù e suggerendo agli insegnanti di segnalare i bambini e gli adolescenti particolarmente dotati.

Il secondo step, quello della formazione, dovrà essere ancora più drastico. Niente familiari se non son professionisti di preclara fama come si usa dire.

Cosa voglio dire? Che nel 2014 non deve esistere più, se non con i requisiti di cui sopra, la figura del padre/fratello/fidanzato allenatore.

Gli atleti non devono essere abbandonati a se stessi (sarà per questo che si rivolgono ai familiari?), ma seguiti da un team di esperti disomogeneo nelle competenze, omogeneo nell’obiettivo di far rendere al meglio l’atleta, il che significa attenzione all’alimentazione e supporto mentale, con la massiccia introduzione di nutrizionisti e mental coach in grado di lavorare singolarmente su ogno atleta.
Questi due passi basterebbero a toglierci dal pantano.

Ma ci sono gli investimenti e i fondi per porre in essere i miei semplici, e tutto sommato anche banali, consigli?

Massimo Bencivenga

 
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