Netanyahu e Israele sono ad un bivio: pace o guerra?
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Netanyahu e Israele sono ad un bivio: pace o guerra?

I rapporti con i palestinesi e il mutato atteggiamento degli Usa di Obama nei confronti di Israele mette il premier dinanzi ad una scelta

Netanyahu e Israele sono ad un bivio: pace o guerra?

Un anno fa, grosso modo di questi tempi, commentavamo che il ritorno al potere di Bibi Netanyahu non avrebbe portato nulla di troppo buono per le trattative di pace in MO (medio oriente). In quelle elezioni la vittoria, d’un soffio di  Tzipi Livni, non impedì a Netanyahu di insediarsi al potere.
E, puntuale come la febbre stagionale, Benjamin Netanyahu ha risposto con qualcosa del tipo “la pace non può essere imposta in Medio Oriente” al paventato tentativo di Barack Obama di approntare un nuovo, ennesimo piano di pace regionale.

Nella questione MO deve muoversi con una cautela maggiore del suo predecessore George Bush il minore, del quale erano ben chiare le posizioni, in quanto ogni apertura agli arabi verrebbe vista male in patria e a Gerusalemme in virtù del colore della sua pelle e del suo retaggio, mentre ogni ulteriore concessione agli ebrei non sarebbe gradita alla già precaria situazione della zona.
Il ministro della difesa di Netanyahu, ex premier e tempo fa successore dello stesso Netanyahu prima della parentesi Ariel Sharon, Ehud Barak si discosta un po’ dalla netta presa di posizione del capo dell’esecutivo immaginando come necessaria la nascita di uno stato palestinese, a questo punto, suggeriamo noi, alle sue condizioni.

 

Perchè se è vero che Ehud Barak è più morbido non va sottovalutato il fatto che lo stesso è stato il più formidabile ed il più decorato soldato che lo stato di Israele abbia mai avuto, e stiamo parlando di tipini come il guercio Moshe Dayan, Ariel Sharon, Yoni Netanyahu il fratello del premier, Shimon Peres il capo di stato, il Premio Nobel Yitzhak Rabin e tanti altri, di certo è uno che sa da parte stare, e di certo non è un disfattista o uno che si tira indietro.
Ma, come spesso succede, i militari sono quelli che sino all’ultimo cercano la soluzione diplomatica, soluzione diplomatica che appare lontana, contorta e perniciosa, soprattutto dopo il trattamento riservato al vice di Barack Obama, joe Biden, e con l’annuncio di un controverso piano di edilizia ebraica a Gerusalemme Est.
Se Ehud Barak è possibilista, in futuro e alle sue condizioni, le posizioni del successore di Tzipi Livni, Lieberman, al ministero degli esteri sono invece sulla falsariga di quelle del premier Netanyahu: Avigdor Lieberman è un immigrato russo. Gli immigrati russi in Israele sfiorano il milione di persone sui circa sei totali della popolazione.
Netanyahu ha smentito una voce secondo cui questa amministrazione Usa è per Israele una “catastrofe”. Di certo, rispetto alla presidenza di George Bush, c’è stato un raffreddamento della politica Usa nei confronti di Israele, ciò per molti versi fa il gioco dei falchi attualmente al governo che in tal modo possono cavalcare ancora e una volta di più la paura.

Israele è completamente circondata da “nemici” arabi, e le ragioni per le quali lo stato di Israele ancora non è stata cancellato (il sogno bagnato e neanche tanto nascosto di Mahmud Ahmadinejad) sono da ricercarsi nella sua grande rete di intelligence, il Mossad è efficientissimo, e nella supremazia bellica frutto della cooperazione con gli occidentali.
E naturalmente un’altra ragione è lo spalleggiamento che gli Stati Uniti operano nei confronti di Israele.

Negli ultimi tempi le cose sono però un po’ cambiate. Nel 2006 la micidiale macchina bellica israeliana si è inceppata nella Guerra del Libano, non che le abbiamo prese intendiamoci, ma la forza bellica capace di annientare in sei giorni Egitto, Siria e Giordania è uscita molto ridimensionata dalla Guerra del Libano.

In quel momento i vicini hanno capito una cosa: Israele non è invincibile. Se a ciò aggiungiamo il mutato atteggiamento degli Stati Uniti nei suoi confronti ecco che abbiamo per le mani una situazione potenzialmente esplosiva.
Non sono più imbattibili e non sono più nemmeno i bambini da coccolare e accontentare in tutto.

Siamo alle soglie di un nuovo conflitto?
Non sarebbe il caso, dopo 62 anni, di fare qualche concessione ai palestinesi?

Massimo Bencivenga 

 
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