L'archeoastronomia può essere vista come la madre dell'astronomia?
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L'archeoastronomia può essere vista come la madre dell'astronomia?

Templi ma anche orologi di pietra, questo sembrano essere i siti archeoastronomici più famosi ed enigmatici del mondo. L'archeoastronomia come l'alchimia? Può essere. O forse no..

Quando qualche volta abbiamo parlato di archeoastronomia, una disciplina che avrà un largo seguito da qui al 2012 (ed anche dopo, perché un dopo, non temete, ci sarà), abbiamo menzionato rapidamente una serie di siti che ricorrono con una certa costanza in chi studia l’archeoastronomia.
Questa disciplina, ben lungi dall’essere una scienza esatta solamente perché il calcolo preciso della posizione della terra migliaia di anni fa non è preciso neanche facendo ricorso alla forza bruta dei nostri supercomputer, può aiutarci molto. In che modo?

Tutti i popoli antichi hanno usato, perlomeno in parte, queste enormi costruzioni di pietra come un orologio, con particolare riferimento ai solstizi ed agli equinozi.
Erano momenti importanti perché indicavano i periodi della semina o dei raccolti, e momenti religiosi, da santificare, pensate anche adesso a momenti come Natale o San Giovanni molto vicini ai solstizi.

 

 

Stonehenge, con molta probabilità era un calendario ed un luogo di culto; Chavin de Huantar era, con molta probabilità, un orologio di pietra ed un luogo di culto; Chichén Itzá, era un calendario per seguire i movimenti di Venere ed un luogo di culto. Angkor Wat è sicuramente stato un luogo di culto, forse un gigantesco cimitero reale, ma a ben vedere presenta, anche questo sito, dei ben precisi orientamenti.

Angkor giace a 72° est da Giza. In Egitto, come sappiamo, Orione sorgeva all’orizzonte dodicimila anni fa e i pozzi stellari settentrionali della Grande Piramide guardavano, nel 2.500 a.C., Kochab dell’Orsa Minore e Thuban nel Dragone.

Il 72 è un numero molto ricorrente in Archeoastronomia. Perché? Perché se moltiplichiamo 72 per 360 otteniamo 25929, una misura più precisa dei 26000 solitamente usati per indicare il ciclo completo della precessione. Insomma il nostro cielo si sposta di un grado ogni 72 anni.

Questo numero, il 72, peraltro multiplo di 12, ritorna quando ci sia avvicina a queste costruzioni con una frequenza, ad ogni latitudine, perlomeno sospetta.

Qualora accettassimo una conoscenza delle fasi astronomiche come quella appena accennata dovremmo giocoforza andare a riconsiderare tutto ciò che sappiamo, o che crediamo di sapere sullo sviluppo scientifico e tecnologico dell’essere umano. Dovremmo cominciare a considerare che gli antichi ne sapessero più di quanto pensiamo.

A tal proposito, uno dei pionieri della teoria dell’antico astronauta o del paleo contatto, Zecharia Sitchin, nel 1976 pubblicò, in cinque libri, i risultati delle sue ricerche sui sumeri e sulle civiltà precolombiane.
La base di partenza furono l’Enuma Elish sumero e la Bibbia, la sua ricerca ebbe inizio quando da bambino si convinse dell’errata traduzione, nella Bibbia, dell’ostico passo che vede protagonisti i Nephilim, a volte tradotti ora “Giganti”, alte con “eroi”, gli uomini dello Shem, gli uomini del “nome”. Questi furono i suoi capisaldi. Che portarono l’uomo, ormai scomparso, a produrre teorie ardite.

Qualche esempio? Gli Annunaki, i Nephilim (anche se la questione è controversa) iniziavano i loro racconti celesti da Nettuno e Urano, che loro chiamavano “pianeti gemelli”.

Nelle tavolette sumere Nettuno è indicato come un pianeta blu, cosa che le sonde confermarono. Successivamente. Urano è invece detto il pianeta che è doppio. Nettuno ed Urano sono molto simili per dimensioni e colore.

Ma come facevano a sapere queste cose i sumeri? Mistero.

Qualcuno potrebbe far notare che non si parla di Plutone. I Sumeri non ritenevano Plutone un pianeta. E' vero, per loro era uno sfrido, un pezzo di roccia lanciato nelle profondità del sistema solare. A ben vedere l’orbita e altre movimenti di Plutone sono ben strani.

Un recente congresso di Astronomia ha retrocesso Plutone, oltre 30 anni dopo le teorie di Sitchin, al rango di pianeta b, come Cerere e tanti altri.

Come faceva a saperlo Sitchin? Erano le tavolette sumere a parlare per lui.

Forse, dopo aver visto del buono anche nell’alchimia, che tanti progressi ha portato nella medicina, nella chimica, nella biologia e nella metallurgia, potremmo anche dare un po’ di credito in più all’archeoastronomia, magari come madre dell’odierna astronomia.

Voi che ne pensate? 

Massimo Bencivenga

 
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