Le Olimpiadi del 1968 sono passate alla storia dello sport per una serie di eventi. Già, l’anno fa capire che siamo nel pieno di una mezza rivoluzione sociale.
Quell’anno le Olimpiadi si tennero a Città del Messico, l’altezza della quale non sarà affatto estranea alla messe di record conseguiti nella disciplina principe di ogni Olimpiade: l’atletica leggera, che regalò istanti passati alla leggenda. L’altitudine e il tartan resero possibili l’aggiornamento di tutti i record mondiali nelle gare di corsa fino ai 400 metri e nei salti in estensione.
Ma prima di parlare anche del mitico salto di Bob Beamon, diciamo che la spedizione azzurra fu così così. Prendemmo tanti bronzi, uno nell’atletica con l’oriudo sudafricano Eddie Ottoz, e qualche oro (tre) nel canotaggio due con (Baran, Sambo e Cipolla), nel ciclismo (Vianelli) e nei tuffi (Dibiasi).
In quella Olimpiade debuttò anche il grande Mark Spitz. Insomma, più che vincere vedemmo gli altri vincere. Ma fu un bel vedere, nel salto in alto vedemmo (in realtà videro chi c’era dal momento che io ancora non ero nato) l’innovazione che fece fare il salto di qualità, scusate la metafora. A città del Messico arrivò e vinse un certo Dick Fosbury. Che saltò in modo dorsale, il metodo usato adesso da tutti, in quanto prima invece la soluzione nel salto in alto era di tipo ventrale. Ovviamente Fosbury fece il record con 2,24 m. Nei 400 m, Evans volò stampando un fantascientifico, all’epoca e oggi, 43,86 , un record che è durato ben 20 anni.
Nelle gare di velocità si cominciò a vedere la netta superiorità dei neri e dei caraibici nelle gare di velocità. E proprio ad una gara di velocità è legata l’immagine che sarà legata a quelle olimpiadi. Il pugno nero sollevato in alto da Tommy Smith e John Carlos, rispettivamente primo (con record) e terzo nella gara dei 200 m.
Smith e Carlos salirono sul podio scalzi e ascoltarono il loro inno nazionale chinando il capo e sollevando un pugno con un guanto nero (il black power), a sostegno del movimento denominato Olympic Project for Human Rights (Progetto olimpico per i diritti umani). E’ quella l’istantanea che, immutabile e sempiterna, accompagnerà sempre le parole Città del Messico 1968.
Ma c’è anche un’altra leggenda relativa a quelle Olimpiadi. Bob Beamon saltò 8,90 nel salto in lungo, una misura fantastica, un record che durerà ben 23 anni. Il campione olimpico uscente, il britannico Lynn Davies, disse a Beamon “Tu hai distrutto questa specialità”, e, nel gergo dell'atletica leggera, un nuovo aggettivo, “Beamonesco”, entrò in uso per indicare un'impresa spettacolare. Lui peraltrò non capì subito la misura di 8,90, fu necessario che Ralph Boston gli spiegasse che aveva superato qualcosa come 29 piedi americani (29 piedi e 2 pollici) perché se ne rendesse conto. Cominciò allora a ballare come un invasato, cadde nelle braccia del suo vecchio amico e poi sì inginocchiò e baciò il terreno.
Ebbene, gira voce che un bambino di 7 anni andò in giardino, misurò 8,90 e disse che lui avrebbe battuto quella misura. Il ragazzino si chiamava Carl Lewis e il mondo avrebbe imparato a conoscerlo come il nuovo Owens e come il Figlio del Vento.
Carl Lewis mantenne la parola, ma le cose non andarono come voleva lui…
Massimo Bencivenga
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