Nella puntata di giovedì 7 di Annozero una giovane signora siciliana presente tra il pubblico prende la parola. Si tratta di una mamma, di una insegnante precaria, di una moglie con suoceri "che ci sostengono economicamente", esasperata della difficile situazione che la accomuna a molti italiani. Il ministro Roberto Castelli, dopo che la signora ha finito di parlare, prende la parola per risponderle. Tra gli argomenti con cui ribatte alla insoddisfazione, alla rabbia, alla paura per il futuro espressa appena prima, il primo è (cito a memoria): "Ma lo sa lei a che ora mi alzavo io quando ho cominciato a lavorare? Mi alzavo alle 4 del mattino e viaggiavo per chilometri per andare al lavoro, e stavo via tutto il giorno, e tornavo la sera alle 10; la vita è ed è sempre stata dura per tutti allora perché non facciamo tutti di più e non la smettiamo di lamentarci?
Forse se ci impegnassimo di più e ci lamentassimo di meno riusciremmo a migliorare tante situazioni". Il secondo argomento riguarda invece il numero di alunni nelle classi elementari, che a detta della insegnante arrivano a 30, rendendo le aule come dei pollai; qui il Ministro risponde che "ho rivisto la foto di seconda elementare dove c'eravamo io e Formigoni, sa quanti eravamo? Quarantadue, e nessuno si è mai lamentato, ma smettiamola di lamentarci sempre!".Quanto detto dal Ministro mi ha portato a riflettere in maniera inedita sulla evoluzione della nostra società nelle ultime generazioni, evoluzione che qui sintetizzo brevemente e in maniera molto approssimativa, mi si perdonino le sommarie semplificazioni. Fino al secondo dopoguerra la vita della stragrande maggioranza della popolazione era scandita da poche incrollabili certezze. Si lavorava il più possibile, il prima possibile, si lavorava per campare; spesso si lavorava nell'agricoltura e nell'allevamento, ovvero si provvedeva in proprio al soddisfacimento dei bisogni primari. Si viveva in casa coi genitori anche quando ci si sposava, così si dividevano le spese e ci si aiutava tutti nelle faccende domestiche: la cosiddetta famiglia patriarcale. Gli armadi d'epoca, ne avete mai visto uno? Ne bastava uno per contenere la biancheria, il vestito da festa (uno per ciascuno), i vestiti per il lavoro e tutti i giorni (un paio per ciascuno) di tutta una famiglia. Non si usciva (né si stava in casa) a divertirsi: né cinema, né televisione, né ristoranti, né lettura, né musica, non esistevano i viaggi e le vacanze, tuttalpiù una gita da mattina a sera al mare o alla casa di montagna di parenti. Non esisteva la cosmesi, non esisteva il telefono, non esisteva il computer, non esisteva l'automobile, non esisteva nemmeno l'acqua corrente e il riscaldamento... Non c'era verso di consumare, neanche volendo, perché tutte le cose che oggi consumiamo o non esistevano, o non erano accessibili ai larghi strati della popolazione, né come prezzi né come quantità di produzione. Da dopo la guerra si sono aggiunte piano piano nuove fonti di spesa, divenute ogni giorno più frequenti e poi quindi assunte come normali e addirittura indispendabili. Tanti vestiti per seguire la moda di ogni anno, tante scarpe, cosmetici e prodotti di bellezza in genere per rendere più gradevole il proprio aspetto. Cinema, ristoranti, teatri, concerti, libri, vacanze, tutti pian piano hanno cominciato a usufruire di tutto quello che la nuova società dei consumi metteva a disposizione e, con le dovute proporzioni di quantità e qualità, anche le classi operaia e contadina. Chi anche non avesse avuto interesse negli svaghi e nelle vacanze, aveva altre fonti di spesa più "importanti", e di netto miglioramento della qualità della vita, da aggiungere al paniere: l'elettricità, il riscaldamento, il telefono, l'acqua corrente, l'automobile. Cose che hanno quasi subito perso la connotazione di lussi per diventare cifre dell'esistenza contemporanea. Infine, ciliegina sulla torta dell'evoluzione sociale del benessere, esplode la stagione del lavoro sicuro, a tempo indeterminato, ben remunerato, e anche pulito: nasce la classe lavorativa impiegatizia. Sicurezza di impiego e di stipendio portano alla possibilità di comprarsi la casa e di lasciare il nido al momento di sposarsi, per formarne uno nuovo. Se è vero che in generale, nella storia, i figli sono sempre stati meglio dei genitori, i nati dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno superato tutte le aspettative: si sono trovati dieci, cento volte meglio dei propri genitori. E' stata una fase di cui noi, nati a cose fatte, nati dentro questo benessere, non abbiamo potuto apprezzare la bontà e la straordinarietà rispetto ai precedenti. Però ci siamo abituati fin dalla nascita a vivere nel benessere, e ci aspettavamo che saremmo vissuti sempre nello stesso benessere, non meno. Ce lo aspettavamo, anche solo per inerzia! Adesso è successo che non si sta più così bene, che non ci sono più così tante sicurezze, che tutte le cose belle che il mondo offre non sono alla nostra portata. Allora il discorso di Castelli potrebbe essere così interpretato: se i tempi sono duri, si stringe i denti finché non si sta meglio, si cerca di migliorare, si cerca di fare con meno, e prima o poi forse si starà meglio. Detta così sembrerebbe anche giusta, la sua teoria.
Ma il Ministro ha, a mio modesto avviso, dimenticato un fatto. Ha dimenticato che se io, per ristrettezze economiche, non faccio o non compro le seguenti cose: vacanze, cinema, ristoranti, vestiti, scarpe, musica, libri, tv satellitare, automobile, elettrodomestici di ultima generazione, cosmetici, cellulari, cibi che non siano quelli di base dell'alimentazione di sostentamento, televisori HD, computer,... Ho risparmiato, sì; ho tenuto duro, certo; mi sono impegnato, ho fatto sacrifici per tirare avanti, tutto giusto. E nel frattempo, il mondo è andato in pezzi. Perché la nostra società, che Castelli e i suoi coetanei hanno contribuito a costruire, è basata sul consumo, e se non si consuma tutto crolla: rimangono senza lavoro gli albergatori, i ristoratori, i metalmeccanici, gli agricoltori, gli allevatori, l'industria elettronica, l'industria alimentare, l'editoria, l'industria manifatturiera, il tessile, tutto crolla. Io ho tenuto duro, ho fatto con meno, e poi le mie tasse invece che diventare servizi diventano cassa integrazione per milioni di lavoratori. Sempre se, nel frattempo, io non ho perso il mio lavoro. Perché magari io sono commerciante e vendo prodotti di cui la gente, in tempi di ristrettezze, cerca di fare a meno. Cosa vuol dire quindi fare sacrifici?
Il concetto di sacrificio e di "tirare avanti senza lamentarsi" non può più esistere, nell'accezione semplicistica del "fare con meno".
Il mondo di oggi è pieno di quel "di più", che serve a milioni di persone per campare. E' una macchina che va a tutta velocità, e se si ferma o rallenta è destinata a sfasciarsi. Ma queste cose non le insegnavano a storia e a studi sociali, anche alla scuola media? E dire che il ministro è arrivato a prendere anche una laurea...
Francesca Sensi
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