Cenni storici sulle mnemotecniche
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Cenni storici sulle mnemotecniche

Mnemotecniche o tecniche di memoria che dir si voglia... percorso storico sulle strategie di apprendimento.

Storia delle mnemotecniche.
Già in età primitiva il ricordo e la trasmissione di informazioni avveniva in forma visiva, con graffiti e dipinti. L’utilizzo delle immagini viene in seguito sfruttato nei primi rudimenti di scrittura come nei geroglifici egizi.
Una vera e propria conoscenza e utilizzo consapevole dei principi di funzionamento mnesici si ebbe nella civiltà greca, la quale si caratterizzò sempre per un’alta considerazione della memoria così da impersonificarla nella dea Mnemosyne, da cui la parola mnemotecnica deriva. Essa fu madre da Zeus delle Muse, dee della danza, della tragedia, della commedia, dell’amore, della storia e dell’astronomia, della poesia epica e lirica, degli inni e della musica. Le diverse espressioni artistiche nacquero quindi da un’unione delle capacità di memorizza-zione ed energia.

Il poeta lirico greco Simonie di Ceo (556 ca.- 468 a.C.), considerato il fondatore delle mnemotecniche, sapeva già che la memoria opera visivamente, per immagini e successioni logiche e ordinate di immagini e che una loro precisa disposizione è condizione indispensabile per garantire un sicuro ricordo.
A questo proposito a Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) viene comunemente attribuita la tecnica appunto dei loci di Cicerone, il celebre oratore in grado di tenere discorsi di alcune ore senza far ricorso a scritti, nel De Oratore narra l’episodio di un banchetto offerto nel 477 a.C. dal nobile Scopa, signore della Tessaglia, in cui, a seguito del crollo del suo palazzo situato nella località greca di Farsalo, Simonide riconobbe tutte le vittime orribilmente sfigurate avvalendosi del ricordo dei “luoghi” in cui gli invitati si trovavano. Cicerone che viene considerato uno degli inventori delle prime mnemotecniche, attribuì sempre alla memoria grande rilevanza, tanto da considerarla come uno dei cinque pilastri su cui si regge la retorica.
Nell’opera anonima Ad Hernanium da alcuni attribuita a Cicerone e risalente circa all’80 a.C., si definirono i loci, precisando che questi devono costituire una serie ordinata di locazioni conosciute nelle quali si selezionano degli oggetti fissi (particolari costruzioni, arredamento,...) presi come riferimento e a cui associare le varie informazioni opportunamente rese in forma visiva. Essi dovranno essere tali da suscitare emozione e impressione. L’autore paragona inoltre i primi a tavolette cerate sulle quali incidere e le seconde alle lettere dell’alfabeto da incidere su di esse.
Gli oratori dell’epoca classica, alfine di ricordare i loro discorsi, si avvalevano dei teatri della memoria, vale a dire ambienti (loci) immaginari in cui erano collocate le parti principali delle loro orazioni.

 

Anche il filosofo greco Aristotele nel III secolo a.C. attribuisce notevole importanza alle immagini: nel De Anima infatti, afferma che “... la psiche, anche quando pensa speculativamente, deve avere alcune immagini mentali”. La memoria è per lui una collezione di immagini mentali derivate da impressioni sensoriali, dalle quali deriva ogni sorta di sapere, con in più un elemento localizzante temporale. Ecco altre mnemotecniche
Va ricordato Metrodoro di Scepsi, contemporaneo di Cicerone, poiché fu il primo ad avvalersi di conoscenze astrali come luoghi mnemonici; egli infatti ricavò 360 loci dai dodici segni zodiacali.
Sant’Agostino (354-430 d.C.) intorno al V secolo d.C. nella sua opera Le Confessioni riconosce nella tecnica classica dei luoghi un valido ausilio per la sua memoria.
Degna di menzione è la titanica opera di Giulio Camillo Delminio, vissuto nel ‘500, il quale provvide all’elaborazione Il teatro della memoria, un complesso e articolato sistema di luoghi per mezzo del quale si propose di sintetizzare mediante immagini tutta la conoscenza del tempo e metterla a disposizione degli oratori onde potessero discertare su qualsiasi argomento.
Giordano Bruno (1548-1600), definito “il mago della memoria”, in alcune sue opere espose i suoi segreti mnemonici mescolati a nozioni di magia e astrologia.
La traduzione visiva di informazioni non fu l’unico metodo di cui ci si avvalse per memorizzare. In determinati momenti storici, come ad esempio in Inghilterra nel XVI e XVII secolo furono respinte perché ritenute fonte di pensieri peccaminosi; ciò incoraggiò l’utilizzo diffuso delle tecniche mnemoniche basate su meccanismi meramente associativi. Le tecniche basate sulle immagini vennero anche criticate da coloro che le ritenevano, a torto, inaffidabili poiché comportavano la memorizzazione di informazioni supplementari che non avevano alcuna attinenza logica con le nozioni da ricordare; in alternativa venivano proposte mnemotecniche come gli acronimi, che riducevano il materiale da apprendere e ne consentivano una veloce revisione.
Francesco Bacone (1561-1626) nell’Advances of Learning (1605) sostiene che occorre utilizzare l’arte della memoria per ricordare gli oggetti di ricerca per l’indagine scientifica. Inoltre sottolinea l’importante requisito del dinamismo al fine di impressionare ciascuna immagine più vivamente nella memoria e, sottolineando la maggior facilità con cui esse si imprimono nella mente rispetto ai concetti; evidenzia l’opportunità di utilizzare le prime per codificare i secondi.
Cartesio (1596-1650) nel Cogitationes privata e spiega come con l’immaginazione sia possibile impadronirsi e gestire quanto si andava scoprendo.

È con Gottfied Wilhelm Leibniz (1646-1716) che si approda alla formulazione di regole e principi per l’organizzazione della memoria; egli infatti sostiene la necessità di associare un’immagine sensibile all’informazione da ritenere. A lui inoltre si devono i primi alfabeti visivi e numerici, che avranno ampia diffusione nel mondo scientifico.
Pierre Hérigone nel Cursus Mathematicus (1634) è il primo a proporre un metodo per ricordare i numeri associandoli alle lettere dell’alfabeto (mnemotecniche); questo fu oggetto di varie imitazioni, finché M. Silvin nel 1843 pubblica il Trattato di mnemotecnica, in cui presenta questa tecnica applicata alla lingua italiana, ancora oggi in uso (si veda il capitolo relativo al codice numerco-fonetico)
Nell’Ottocento il tedesco Hermaim Ebbinghaus (1850-1909) inizia a studiare sperimentalmente la memoria; da allora le mnemotecniche divengono il frutto dell’indagine scientifica. Numerosi studiosi in seguito si occuparono di questa materia fino a farla divenire oggetto di specifici studi.
Da oltre cinquant’anni le maggiori società americane le fanno apprendere ai propri managers.
Un caso concreto di studio mnesico è affrontato dal neuropsicologo Aleksandr Romanovic Lurija (1902-1977); egli, analizzando le stupefacenti capacità mnesiche del giornalista russo Sergej V. Seresevskij, scoprì che quest’ultimo possedeva naturalmente le mnemotecniche sviluppate in epoca classica, tra cui i loci. Questi ultimi gli consentivano di ritenere le varie informazioni indelebilmente e di poterle richiamare alla mente ogni volta che questi venivano rivisti mentalmente ogni informazione si presentava immediatamente alla mente poiché era stata vividamente percepita con tutti e cinque i sensi; ciò gli garantiva un ricordo sicuro e completo. Ogni sua sensazione era sinestetica, cioè interessava tutti e cinque i canali sensoriali; ad esempio un suono veniva percepito anche in termini visivi.

Purtroppo in Italia le mnemotecniche, che garantiscono ottimi risultati ed eccellenti miglioramenti delle proprie capacità mnesiche continuano a essere elitarie e a volte segretamente utilizzate nei varietà o nei telequiz televisivi.
Si auspica vivamente che venga conferita loro la dignità di vera e propria disciplina scientifica, da diffondere e inserire nei programmi di insegnamento scolastico
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