L’inizio dell’anno, con il suo precocissimo caso letterario, mi dà lo spunto per una mia, personale ed in esaustiva, ci mancherebbe altro, analisi dei romanzi nostrani. Il caso letterario d’inizio 2010 si chiama L’ipnotista, un romanzo di Lars Kepler edito da Longanesi. In primis va detto che sotto il nome di Lars Kepler si cela una coppia, un marito ed una moglie, Alexander ed Alexandra Coelho Anhdoril. Non è ben specificato chi dei due sia latino. Va di moda il noir ed il thriller del nord. Ed ecco allora che, se diamo un’occhiata alle mode, ci accorgiamo che sempre più spesso gli editori si comportano come esperti di marketing anziché come talent scout. Uno (Marsilio) ha lanciato con successo Stieg Larsson e la sua millennium trilogy ed ecco che gli altri si fiondano a cercare gli omologhi.
Ed ecco allora comparire sugli scaffali i vari Dahl Arne, Dahl Kjell O, Nesbo Jo, Eriksson Kjell, Indridason Arnaldur e Hakan Nesser (questi due a onor del vero già presenti in Italia ben prima della moda nordica), un discorso a parte meriterebbe invece il danese Mikkel Birkegaard che fu caso editoriale con il suo “I Libri di Luca”. Come un discorso a parte meriterebbe anche Peter Hoeg, autore dell’immortale “Il senso di Smilla per la neve”. Marsilio dopo aver scovato Stieg Larsson adesso prova a fare il bis con Camilla Lackberg. Ma penso che ogni casa editrice presenterà il suo autore nordico di noir “migliore di tutti”. Prima degli scandinavi c’era stata l’onda iberica. L’uomo di Cartagena, Arturo Perez-Reverte (foto), ha fatto da testa di ponte per i vari Javier Senna, Matilde Asensi, Julia Navarro, Nerea Riesco, per arrivare infine alle star Ildefonso Falcones e, soprattutto, Carlos Ruiz Zafòn. Da notare come invece gli spagnoli sono più propensi al thriller storico quando non, con Navarro, Serra ed Asensi, dei competitor di Dan Brown. E gli italiani? Noir a tutta forza. Siamo pieni di noir/gialli metropolitani e paesani, con i soliti marescialli/commissari/ispettori poco amanti delle regole e della disciplina e molto della cucina e delle donne.
Siamo invece scoperti in molti settori. Il techno-thriller alla Michael Crichton per esempio, come anche per le spy story alla Ken Follett o Frederick Forsyth, o nella geopolitica alla Tom Clancy o alla Robert Ludlum. E va bene, non siamo gli Stati Uniti, la nazione egemone che tanto intriga, e non siamo una nazione molto tecnologica, pertanto non ci piace tanto leggere di staminali, biotecnologie, nano particelle e cambiamento climatico. Abbiamo però una marea, letteralmente, di avvocati e giudici senza produrre romanzi del genere legal thriller. Eppure in Italia in tanti amano John Grisham e Scott Turow, Stephen Carter e Brad Meltzer. Neanche un buon thriller politico riusciamo ad imbastire. Un po’ perché da noi la giustizia è lenta, troppo lenta per i ritmi di un thriller, ed un po’ perché da noi gli avvocati di Grisham l’avrebbero preso in quel posto nello scontro con i potenti, i politici e le multinazionali. In questo campo abbiamo Gianrico Carofiglio e poco altro. Per non parlare poi del Financial Thriller, laddove neanche un laureato sa cos’è un anatocisma (eppure lo paghiamo purtroppo tante volte).
Ed allora dobbiamo stordirci con Federico Moccia ed i suoi adolescenti cretini (perché normali non sono!) e con le barzellette di Totti. Nell’avventura Marco Buticchi è riuscito a farsi largo e rivaleggia con un sempre più rimbambito Clive Cussler (un tempo scriveva bei romanzi) e con l’altro con non tanto ci sta più, ossia Wilbur Smith. Accanto a Marco Buticchi mi sento di segnalare, tra gli italici scrittori di avventura, Pietro Ballerini Puviani. Un nome da tenere d’occhio. Siamo anche un popolo di marinai ma non abbiamo un Patrick O’Brien (quello di Master and Commander) o un Patrick Robinson. E nessun fuoriuscito dalle special force come Andy McNab. Bello il tentativo, in parte riuscito, di Alessio Grossi con la sua serie di meteo-thriller.
Con l’horror non va meglio. Un incoraggiamento va alla Gargoyle che sta cercando di far decollare un genere, riproponendo i classici e lanciando con misura giovani italiani. Vanno di moda i vampiri adesso, solo quelli anglosassoni però, quelli in crisi di identità, quelli che non sanno cosa vogliono ed attendono alle virtù di ragazzine debolucce. Da adesso in poi, terminata la moda dei Templari e del ciclo del Graal (se ne sono occupati oltre a Dan Brown anche, solo per citarne qualcuno, Jan Guillot, Eliette Abecassis, Steve Berry, Paul Doherty, Bernard Cornwell) potrebbe essere il turno dei romanzi del 2012.
La Newton già da un po’ di tempo si sta interessando al 2012, dai tempi di Stel Pavluo e del suo “Codice Atlantide” per arrivare a 2012-La profezia di Steve Alten. Ed altri sono in arrivo.
Mi chiedo se non sarebbe meglio, per gli editori italiani, provare a essere coraggiosi anziché marcarsi a vicenda e produrre delle bolle (i templari, il 2012, gli spagnoli, gli scandinavi, etc) che avvantaggiano solo i pionieri, e quindi gli editori che per primi hanno avuto il coraggio di osare?
Il guaio è che anche gli scrittori italiani si marcano e si piegano alle regole del mercato, e per questo scrivono e leggono noir. E’ un circolo vizioso. Che andrebbe spezzato. Coraggio.
Massimo Bencivenga |