Con il termine Transavanguardia Italiana (perché il movimento fu essenzialmente italiano e settentrionale) si va generalmente a intendere una corrente artistica che s’innesta e segue il neo-espressionismo. Un movimento teso al recupero della tradizione pittorica come alternativa a un concettualismo vuoto e incapace di produrre qualcosa di valido artisticamente. Qualcosa capace di andare oltre la corrente e la moda.
Per dirla con le parole di Achille Bonito Oliva la Transavanguardia “ha risposto in termini contestuali alla catastrofe generalizzata della storia e della cultura, aprendosi verso una posizione di superamento del puro materialismo di tecniche e nuovi materiali e approdando al recupero dell’inattualità della pittura, intesa come capacità di restituire al processo creativo il carattere di un intenso erotismo, lo spessore di un’ immagine che non si priva del piacere della rappresentazione e della narrazione”.
I protagonisti principali della Transavanguardia italiana furono Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino; e ognuno di loro, con un suo tratto distintivo, cercò il recupero delle già citate tradizioni. Cucchi, per esempio, cercò il recupero attraverso uno sguardo fortemente visionario; Paladino, dal canto suo, cercando e inseguendo un segno primordiale e condiviso; Chia, attraverso la sua ingenua artificiosità. Si può affermare, più o meno tranquillamente, che Modena ed il Veneto siano state l’autentica culla della Transvanguardia che, per il resto, ha interessato l’Italia in modo molto più marginale. Nella Transavanguardia, l’avanzamento è integrato, quando non sostituito, dall’attraversamento (Trans). Ipotesi che spinge l’artista, libero da condizionamenti normativi e ideologici, a soffermarsi sulle radici e sui fenomeni laterali e inattesi.
Molta importanza viene data all’humus, al genius loci di ciascun artista, inteso come retroterra fertile e immaginifico. In qualche caso, nella Transvanguardia si riscontrano accordi e richiami al Futurismo italiano. Il movimento non prese mai troppo piede nel belpaese e, nato sul finire dei settanta, all’alba dei novanta era già bell’è che superato e dimenticato. Un peccato, perché quegli artisti avevano eccome qualcosa da dire. Massimo Bencivenga |