Il mondo dell’architettura è monopolizzato da un manipolo di designer. Sono gli archistar. Per ogni grossa opera, qualcosa di grandioso, visibile, mediatico e duraturo sono sempre gli stessi nomi a circolare. Oscar Niemeyer, doveroso partire da lui e dai suoi 101 anni suonati; Tadao Ando; Santiago Calatrava, sono i molti a scivolare sul suo ponte a Venezia; Norman Foster, cavaliere di sua maestà la regina; Ieoh Ming Pei, un altro giovanotto di 90 anni; Frank Gehry, l’ebreo naturalizzato che ha progettato il Guggenheim Museum di Bilbao; Zaha Hadid e il suo maestro Rem Koolhaas; Hermann Tilke, l’architetto degli autodromi della formula uno.
L’elenco potrebbe continuare, ma non ne dimentico molti altri, in questa elitaria casta ben si difendono i nostrani Renzo Piano e Massimiliano Fuksas. Voglio però spezzare una lancia in favore di un architetto italiano che ha fatto del low profile uno stile di vita pur essendo presente nella vita di molti italiani e non. Designer a tutto tondo, Michele De Lucchi è l’ideatore della lampada Tolomeo, realizzata dalla Artemide, e di diverse altre cose, ma ancorchè poco conosciuto al grande pubblico. Non va in tv a spacciare cose stantie per rivelazioni, non collabora con riviste ad alta fruizione mediatica, non fa ospitate il sabato sera nei format a parlare di un nuovo modo di intendere l’uomo e l’ambiente, non va, orribile a dirsi, nei salotti dei Reality. Eppure con la sua barba lunga, a metà tra quella di uno sciamano e di Rasputin, avrebbe un sicuro e forte impatto scenico. E, last but not last, ama sporcarsi e sperimentare. In Giappone ha riscoperto la pietra ed altri materiali poveri mentre in molti sono diventati profeti dell’acciaio, del carbonio e del vetro. In questo, e non solo per la barba fluente, ricorda molto gli architetti del rinascimento, designer ante litteram, intellettuali poliedrici e versatili. Gente con molto da dire, ma che facevano anche. Se non ci fosse stato Leonardo da Vinci con molta probabilità il rinascimento sarebbe stato l’epoca di Leon Battista Alberti, il maestro ruinante, che amava sporcarsi con i muratori. Ecco, in un’epoca postmoderna, in un’atmosfera culturale fluida e porosa, che non venga riconosciuta la capacità di Michele De Lucchi di immaginare, realizzare e comporre nuove soluzioni belle e funzionali, è una vera e propri aberrazione.
Michele De Lucchi, tecnico e filosofo, designer e umanista.
Massimo Bencivenga |