Se qualcuno mi spara a bruciapelo una domanda del tipo: “Se dico Oligarca cosa ti viene in mente?” Ecco, a me vengono in mente due uomini: Boris Berezovsky e Mikhail Khodorkovsky, gli altri, vale a dire gli Abramovich e i Deripaska, sono arrivati dopo, e pertanto la mia memoria li mette in cosa.
Bene, Mikhail Khodorkovsky è in galera, e ci resterà perlomeno sino al 2017.
Boris Berezovky è morto in circostanze sospette a Londra qualche giorno fa. Qualcuno ipotizza un suicidio, qualcun altro un omicidio. Di sicuro, ci si sente di escludere la pista radioattiva sul modello del caso Litvinenko, peraltro una persona che era stata in stretti contatti con Berezovky. Boris Berezovsky, come detto, non era un semplice oligarca: era L’Oligarca, come diceva anche il titolo del film sulla sua vita che il beniamino di Cannes Pavel Lunghin. Incarnava il risultato dell’alchimia e del miscuglio di denaro e potere, politica e crimine, che ha fatto da substrato e humus fertile per tutti i nuovi ricchi russi. Non c’è stato evento importante post caduta del comunismo che non lo abbia visto, nel bene e nel male, chiamato in causa. Per amici e detrattori, c’era sempre Lui, il grande burattinaio, dietro ogni evento di una certa rilevanza: c’era Berezovsky dietro alla miracolosa rielezione di un Boris Eltsin distrutto nel 1996; c’era Berezovsky dietro alla incredibile ascesa in pochi mesi di Vladimir Putin; c’era Berezovsky sia dietro alla pace raggiunta con la Cecenia che dietro alla nuova guerra che scoppiò pochi anni dopo. Secondo molti a Mosca, c’era Berezovsky dietro alla morte di Anna Politkovskaya, a quella d Alexandr Litvinenko, uno dei suoi fedelissimi, e la magistratura russa tenta ancora di provare che ci fu lui dietro all’esplosione della protesta in piazza dell’inverno scorso. Insomma un personaggio controverso.
Nato, come Khodorkovsky, in una famiglia di ingegneri di origine ebrea, Berezovsky studiò e diventò un valente ingegnere agrario, un membro dell’Accademia delle Scienze della Russia e un matematico con pubblicazioni autorevoli. Non mancava mai di dire, appena poteva, che aveva Numero di Erdős 4. Se non sapete cos’è il numero di Erdős, usate Google. Come Khodorkovsky, quante analogie tra i due (Khodorkovsky è ingegnere chimico), si buttò agli inizi sulla compravendita dei primi Pc che arrivavano dall’Ovest. Fece incetta dei Voucher governativi e poi… poi arrivò il suo Impero: il petrolio, le tv, l’Aeroflot, etc. Putin, che pure appoggiò, ha brigato per allontanarlo o imprigionarlo, conscio forse della pericolosità dell’uomo. Dal 2001 viveva a Londra, eternamente accusato di qualche complotto, circondato da una corte di uomini dei servizi segreti, ribelli ceceni, difensori dei diritti umani e affaristi, sempre più accanito nel denunciare il putinismo che pure aveva contribuito a creare. Anche Roman Abramovich, altra sua creatura, gli voltò le spalle, appoggiando la politica di Putin. L’uomo a cui Forbes negli anni ’90 dedicò la storica copertina “L’uomo più potente della Russia. No, non è Boris Eltsin” era ormai un ex potente, un pensionato di lusso del Surrey, pieno di cause e debiti. La sua storia era diventata un romanzo (“La grande razione” di Yuli Dubov, mai tradotto in Italia) e un film, ma lui era diventato solo un reperto storico. Con Berezovsky morto, e Khodorkovsky in galera e senza più la Yukos, finisce un’era, l’epopea degli Oligarchi, perlomeno dei primi Oligarchi.
E Putin ha qualche ostacolo in meno tra sé il sogno di arrivare al 2024, dal momento che Berezovsky era il più accanito avversario del putinismo.
Massimo Bencivenga
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