Il Presidente Usa Barack Obama, in prima persona e per tramite della Segreteria di Stato, sta cercando di stabilizzare e di rendere meno esplosiva la situazione in medio oriente. E lo sta facendo cercando di mediare e di riavvicinare (per quanto possibile) la Turchia con lo stato di Israele. Israele ha visto peggiorare di molto la sua situazione negli ultimi tempi.
La Primavera araba ha spazzato via un alleato (Hosni Mubarak) e portato al potere islamisti potenzialmente pericolosi e ostili. Israele si trova tra altri due potenziali pericoli: la Siria, o meglio se la stessa cadrà in mani ostili, a nord; e a sud nella penisola del Sinai, per via dei fatti egiziani.
Se la situazione di Israele è questa, la Turchia di certo non può stare molto tranquilla. La guerriglia in Siria sta portando decine di rifugiati in Turchia, e ciò poteva anche essere imprevedibile. Meno imprevedibili sono le seguenti domande: “La Siria ha armi di distruzione di massa? Le userà? Anche verso la Turchia?”. Domande per ora irrisolte. Indubbiamente però i rapporti di Ankara con Damasco, Teheran e Baghdad non sono idilliaci. La Siria non nasconde il disappunto verso la Turchia; l’Iran lancia continuamente “avvertimenti” sibillini; con Baghdad i rapporti sono apertamente ostili.
Gli Usa, non presenti più in Iraq e pronti a sganciarsi dall’Afghanistan, hanno bisogno presenze amiche nell’area. Ed ecco perché stanno adoperandosi per avvicinare Israele con la Turchia.
La cooperazione turco-israeliana si rende poi necessaria per superare l’impasse nel settore del gas offshore. La scoperta di giacimenti di gas ala largo delle coste di Israele, Cipro e del Libano promette di cambiare il panorama energetico mediterraneo. Ma, se gestita male, la cosa rischia di provocare ulteriori attriti in un’area che di tutto ha bisogno tranne che di ulteriori frizioni. Il sistema più economico sarebbe quello di convogliare il gas offshore con un gasdotto verso la Turchia, e da lì collegarlo ai gasdotti che portano in Europa.
La Turchia aspirava a porsi come nazione-guida dell’area, a capo di un islam moderato. Le cose stanno andando in maniera un po’ diversa, dal momento che la leadership sembra appartenere adesso all’ala più dura e estremista con l’Iran capofila. Riavvicinarsi a Israele, con la benedizione degli Usa, potrebbe anche significare mostrarsi di nuovo come interlocutore autorevole e pontiere in una zona turbolenta.
Se il riavvicinamento proseguirà proficuamente, andrà a ridisegnare il quadro delle relazioni di potere in Medio Oriente e non potrà non avere grande impatto sulle politiche regionali, sulla sicurezza dell’area e sul settore energetico locale e globale.
Massimo Bencivenga
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