Sarà il democrat Barack Hussein Obama a contendere la casa bianca al senatore, puro esponente Wasp (Bianco, anglosassone e protestante), McCain. Al ticket Bill-Hillary Clinton va riconosciuto di aver lottato sino alla fine, in ogni modo, alla loro maniera, per fas et nefas. A poco è servita la slime machine, la macchina spargifango, inscenata contro il senatore nero. Il fango è stato spazzato via dalla montante marea del “we can change”. Non sono bastate la magnetica personalità e le parole del più grande oratore vivente, il Clinton maschio, per smuovere l’opinione pubblica. Più Clinton attaccava i giornalisti rei, a suo dire, di costruire una “favola” intorno ad Obama, più la gente si appassionava a quella favola. Mentre la moglie, nelle convention, s’intestardiva in calcoli economici al centesimo sfiancando la resistenza e l’attenzione; Obama faceva balenare l’idea di un’America diversa, in un mondo diverso. E’ stato questo l’errore strategico dei Clinton. Mentre loro sono rimasti schiacciati in un presente, neanche troppo roseo, Obama è andato oltre.
Obama si è impossessato del futuro.
Una parte dei democratici e dei cittadini comuni, semplicemente, non ha prestato attenzione al giuramento sul Corano di Obama, non si è fatta influenzare da Barack in abiti musulmani, si è fidata dell’Hussein contrario sin dall’inizio alle scellerate, ma ben redditizie per alcune persone e società, campagne di guerra di Bush jr. In molti hanno dato fiducia al ragazzo nato alle Hawaii, cresciuto a Giakarta e formatosi alla Columbia University e a Chicago in un periplo di esperienze che lo rendono non solo il primo candidato afro, ma un formidabile prodotto dei tempi nella migliore accezione possibile del termine. L’America in lui vede un ritorno allo spirito delle origini in chiave moderna. “Mio nonno pasceva pecore in kenia e io sono senatore degli Stati Uniti d’america. E so che solo in America può succedere ciò”; queste furono le prime parole al congresso. “Non faremo la guerra ma tratteremo con gli iraniani” sono state interpretate come speranza e non timore dall’opinione pubblica. Ad ogni buon conto la partita per la presidenza deve ancora cominciare e non pochi politologi sono convinti, a ragione, che esiste un’America profonda, religiosa, bigotta e impaurita alla quale Obama non riesce a parlare, né vogliono sentirlo parlare. Un’america con cui il senatore nero dovrà comunque confrontarsi. Come dovrà confrontarsi e scontrarsi, se eletto, con il coacervo di lobby, interessi multipli e incrociati che fanno della costa est un posto estremamente pericoloso per i politici, in special modo per i non conformisti e per i ben intenzionati. Obama vincerà, ma per il cambiamento aspettiamo…
Massimo Bencivenga |