Le prime volte recano con sé ricordi indelebili, per ognuno di noi ci sono state tante prime volte, ma forse neanche il più fiducioso uomo nelle sorti magnifiche e progressive dell’umanità poteva concepire, solo dieci anni fa, che un nero americano si sarebbe insediato nella casa che fu di Washington, di Jefferson, di Lincoln, di Roosvelt, di Eisenhower, di Kennedy. Eppure Obama, dieci anni fa, era già in politica, era già nato. Non perdiamo la speranza che in questo momento è vivo ed opera il ricercatore che sconfiggerà il cancro o l’Aids. La parola d’ordine è stata cambiamento ma il carburante della stessa è una parola che sempre più spesso pronunciamo con rassegnazione più che come reale auspicio: la speranza. Mi sono svegliato mentre pronunciava il suo discorso, mentre raccontava di donna di colore, Ann Nixon Cooper, che a 106 anni è andata a far sentire la sua voce. La voce di una donna nata una generazione dopo la schiavitù, una donna che ha subito discriminazione, che a visto Pearl Harbor e il Klu Klux Klan, la stessa donna che magari ha avuto un figlio in Vietnam, che ha trepidato per Armstrong e che ha visto crollare il muro di Berlino; ebbene forse quella donna, Obama non l’ha detto, ha visto crollare l’ultimo muro: quello della casa bianca. Mentre raccontava non c’era acredine nelle sue parole e sincere lacrime solcavano il volto di chi ascoltava, bianchi e neri in qualsiasi gradazione.
Forse qualcuno ha deciso che quella nonnina avrebbe dovuto vivere solo per vedere questo momento.
Se lì fuori c'è ancora qualcuno che dubita del fatto che l'America sia il luogo dove ogni cosa è possibile, che si chiede se il sogno dei nostri fondatori è ancora vivo, che ancora dubita del potere della nostra democrazia, questa notte è la vostra risposta.
Lo hanno votato e sostenuto i giovani e gli ispanici, ossia la generazione 11 settembre cresciuta a pane, Bush e bugie e quelli che credono nell’America, e magari ha votato per la prima volta un Chicanos che sarà Presidente degli Stati Uniti d’America. I giovani non s’interessavano alla politica, è stata la politica voodo, la politica della menzogna repubblicana, a convincerli a vederci chiaro. E quello che hanno visto non è piaciuto. Gli immigrati di prima generazione hanno capito che possono farcela, in questo paese il riscatto è possibile. Ecco la speranza. È stata questa la magia dell’America per secoli e questa magia ha incarnato Obama. Un vecchio adagio recita che la campagna elettorale si fa in poesia ma si governerà in prosa. Passata la sbornia dovrà governare e non troverà una situazione facile, con un paese in crisi economica e di credibilità, una possibile emergenza ambientale e i rapporti con i “nemici islamici” che saranno vivisezionati al microscopio. Non sarà facile, e non è detto che ce la faccia, a ben vedere le probabilità, o per meglio dire le forti lobby contrarie, potrebbero insabbiarlo. Di una cosa si può essere certi. Obama è una risposta. E' la risposta data da giovani e anziani, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, nativi americani, omosessuali, disabili e non. Americani, che hanno lanciato un messaggio al mondo: non siamo mai stati una mera collezione di individui o una collezione di stati rossi e blu. Siamo, e saremo sempre, gli Stati Uniti d'America.
Obama è la risposta, il vento fresco di un cambiamento, la ventata di novità, fiducia e speranza di un millenio iniziato con l’11 settembre. In tanti vedono in lui un nuovo Kennedy, e le analogie sui momenti storici sono molte, e scelse il monumento a Lincoln per la sua scesa in campo. Due simboli e due messaggi.
Bush e altri presidenti prima di lui dicevano qualcosa del tipo “Dio è con noi” citando i Padri fondatori. In realtà essi dicevano “dobbiamo stare dalla parte di Dio”. Quasi la stessa cosa. Quasi… Dio benedica il mondo.
Massimo Bencivenga |