Quando Eltsin, l’ubriacone beota e beone a capo della Russia, nominò, un po’ a sorpresa tal Vladimir Putin come suo successore non erano in molti a conoscere l’ex maggiore del Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti, alias KGB, alias la spada e lo scudo del partito comunista. In qualità di spia, spero di non offendere nessuno, fu inviato a sorvegliare i nemici, gli Usa, nella Germania dell’Est. Putin, diversamente da molti suoi ex colleghi che, in seguito alla caduta del muro di Berlino, si sentirono come dinosauri nel cretaceo in un mondo che non era più lo stesso e né prevedeva la loro esistenza, fu straordinariamente recettivo nel capire le opportunità che si paventavo ad un uomo con le sue conoscenze e informazioni. La quasi totalità degli ex Kgb, quelli che vollero riciclarsi, lo fecero nella politica, nella criminalità o come broker d’affari. Il più delle volte nella zona grigia d’influenza delle tre sfere. Putin scelse la politica. Ebbe numerosi incarichi a San Pietroburgo e Mosca prima di diventare, nominato da Eltsin, capo del FSB (una delle agenzie che successero al KGB, più specificatamente quella relativa ai servizi di intelligence interna). Indicato e cooptato per chiamata diretta dal Boris come suo erede venne eletto il 26 marzo del 2000 dopo una campagna elettorale condotta nel più totale sprezzo del confronto pubblico, imperniata e incentrata sulla distruzione di un Paese, che stava cercando l'indipendenza: la Cecenia.
Il futuro presidente, tuttavia, aveva già svelato il suo vero volto in occasione dei misteriosi attentati del 1999, attentati che colpirono alcuni palazzi di Mosca e provocarono intorno alle 300 vittime tra i civili. Sono tante le zone d’ombra intorno agli attentati, ma Putin presentò il suo teorema e la sua tesi: terrorismo ceceno. Da estirpare… La maggior parte dei russi appoggiò la sua linea dura e quello che si rivelerà un vero e proprio odio etnico... Massimo Bencivenga |