Il satellite dal cielo e i nuovi sceriffi
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Il satellite dal cielo e i nuovi sceriffi

Un breve raccontino incentrato sulla caduta di un satellite, sui detriti dello stesso, e su un inquietante castello tedesco.

Il satellite dal cielo e i nuovi sceriffi

Rimasero così.
I morti immobili e i vivi impietriti.

22 Novembre 2013,
Wewelsburg,
due ore prima

Cem Özdemir, l’Obama tedesco a capo del partito Partei Bündnis 90/Die Grünen, si staccò dal suo segretario particolare e si avviò fiducioso verso i due uomini che erano appena usciti dalla tendone che fungeva da quartier generale. Si rabbuiò notando nei due un atteggiamento e una postura tutt’altro che trionfanti.
Il più anziano dei due allargò impotente le braccia prima di aggiungere: “Mi spiace, ci hanno tagliato fuori.”
“Come sarebbe a dire?” ribattè Özdemir
“Sarebbe a dire che hanno deciso per una azione di forza. Niente chiacchiere, niente mediatori, nessun lettore del pensiero. Niente di niente. E non mi piace. Già già. Non mi piace proprio” rispose Jorgen Reinders, polizeioberrat della Renania Settentrionale-Vestfalia.
Özdemir aveva avuto modo di vederlo all’opera e lo sapeva scrupoloso sul lavoro, serio, affidabile.
Tedesco.
Adesso aveva davanti un cinquantenne quasi svuotato.
Reinders emise un lungo sospiro prima di continuare.
“Temo, dottor Özdemir, che le brutte notizie non siano finite.”
Özdemir attese in silenzio.
“A intervenire non saranno neanche i ragazzi del GSG-9 dell’Oberstleutnant Bruno Romano” disse indicando l’uomo al suo fianco. Uno che pareva scolpito nella granito. Del resto, come Özdemir ben sapeva, non si arriva a capo di una unità del genere senza essere in forma. Maledettamente in forma.
E senza avere cervello.
“Chi sarà ad intervenire allora?”
“Un nuovo gruppo militare d’assalto, europeo e transnazionale. Sono già stati allertati, non ne conosco la provenienza, ma saranno qui tra cinquanta minuti al più. Così ci hanno detto il governatore del Lander e gli altri politici che si pavoneggiavano lì dentro.” Con il pollice indicò la tenda alle sue spalle, mentre le parole gli uscivano quasi sputate dalla bocca.
“Il punto è”, intervenne Romano, “che avranno poco tempo. Arriveranno e attaccheranno dopo aver preso visione delle nostre scarse informazioni.”
“ Perché prima ha parlato di brutte notizie” chiese Özdemir a Reinders. “Non sono ben addestrati?”
“Forse lo sono troppo” s’intromise Romano.
“Già già”, gli fece eco Reinders, che sotto stress tendeva a ripetere l’avverbio.
“Spiegatevi meglio, perché c’è la mia gente là dentro” Özdemir si pentì di quello che aveva detto. Se pure c’erano immigrati turchi tenuti in ostaggio nel castello, era pur vero che gli aguzzini erano tedeschi puri come Reinders. Strinse le labbra. Era stato avventato, ma con le emozioni capita. Meglio tacere adesso, dal momento che le toppe spesso son peggiori del buco.
“Dottore, la nostra impressione è che si voglia dare un segnale forte senza pensare e dar troppo peso agli effetti collaterali” replicò mogio Reinders. Non sembrava essersela presa per prima, sembrava solo triste.
“Volete dire che pur di riuscire non esiteranno nel mettere a repentaglio la vita degli ostaggi?”
Ci son silenzi capaci di parlare. Quel silenziò urlò.
Özdemir si voltò di spalle, sentiva un grosso peso su di sé.
“Ma non ci sono alternative?” chiese ancora nel girarsi.
Silenzio.
“Secondo voi possono riuscire? Senza... effetti collaterali?” Özdemir si rivolse a Bruno Romano.
“Sarò sincero”, iniziò e diede uno sguardo al castello. “Quel posto è un incubo tattico. Troppe stanze, troppo spazio. Troppo tutto. Prenderli di sorpresa sarà impossibile, di sicuro ci sarà resistenza. E dove c’è resistenza spesso ci sono vittime innocenti.”
“Oh, Dio.”
“Gia già.”
“Questo gruppo in arrivo riuscirà a prendere il castello perché metterà in campo”, Özdemir vide Romano alzare il pollice, “più uomini, più potenza di fuoco e più tecnologia.” Adesso pollice indice e medio erano lì a testimoniare e sottolineare, in una tipica gestualità latina, il concetto. Özdemir sentiva una certa affinità con Bruno Romano.
Entrambi, figli di immigrati, avevano avuto tanto in terra di Germania. Con merito e fatica.
“Queste tre componenti bastano per un assedio o una battaglia campale old style, ma con gli ostaggi è ben altra cosa. Se posso essere sincero, non invidio chi dovrà entrare lì dentro.” Concluse estendendo il braccio verso una delle tre torri.
Özdemir si ritrovò istintivamente e seguire la direzione indicata dal braccio steso di Romano.
“Certo”, riprese Özdemir, “con tanti posti proprio qui doveva cadere quel frammento del satellite giapponese lgs 4B.”

 
 
  Paderborn

“Il Castello di Wewelsburg è stato il luogo di culto più importante del nazismo. Ha rappresentato la Camelot Nera di Himmler, nonché la cattedrale più scintillante del culto che professavano.” Il dottor Bert Dremmler era un animale da palcoscenico. E lo sapeva. In pochi erano al corrente della cura maniacale e ossessiva che impiegava nel far sembrare scompigliati i suoi capelli castani e mal curata la sua barbara rossiccia. Vestiva anche in modo eccessivo, sempre fuori moda. La sua presenza scenica, il tema dei suoi studi e il suo carattere mercuriale lo rendevano il tipo di ospite ideale per far impennare lo share. A condire il tutto c’erano stati anche fugaci flirt con starlette dello spettacolo. Tutto ciò aveva reso, negli ultimi quindici anni, Bert un personaggio abbastanza popolare.
La bionda conduttrice appollaiata su un trespolo bloccò con un dito Dremmler e si rivolse a un altro ospite: “Ingegnere Stielike, che probabilità c’erano che un frammento del satellite cadesse proprio nella cattedrale del nazismo come ha pomposamente detto il dottor Dremmler?”
Hans Stielike non amava i riflettori. Si mosse a disagio, Bert se ne accorse; evidentemente non gli piacevano quel posto né quelle domande buttate lì.
“Così su due piedi non so dirle la probabilità”, attaccò,” ma tenga presente che la Terra è coperta per due terzi da acqua e solo il 15% delle terre emerse sono popolate”. Una breve pausa, prima di aggiungere: “Radunando idealmente la popolazione del pianeta in un punto, vista dall’alto la stessa andrebbe a occupare una superficie complessiva che possiamo stimare come inferiore a un centomillesimo della superficie terreste: un bersaglio davvero piccolo, tant’è vero che ha colpito una cosa e non delle persone.”
“Ma cos’è questa storia di satelliti che improvvisamente vogliono precipitare?” incalzò la conduttrice.
L’ingegnere si fece scappare una risatina.
“Questo sciame, come lo chiamate voi giornalisti, di satelliti sembra eccezionale: non lo è. Le agenzie spaziali già da tempo hanno deciso di fare pulizia in questo modo, che  poi il modo più economico per evitare collisioni in orbita tra satelliti “in funzione” e rottami fuori uso. Li si fa cadere e amen. Insomma, tanti altri satelliti sono caduti e non l’avete neanche saputo.”
Un altro cenno della mano a bloccare l’ingegnere, che comunque aveva finito, per rivolgersi al terzo ospite. Il politico.
“Sia come sia Abgeordneter Franke, la caduta di questo pezzo sul castello di Wewelsburg ha dato la stura a un gruppo di neonazisti, che ha deciso di vedere in tutto ciò un segno divino; questi hanno sequestrato una ventina di immigrati turchi e hanno deciso non si sa cosa. Cosa si sa?”
Dieter Franke, che rappresentava il land al Parlamento, era uno che si prendeva molto sul serio. Prese a parlare con voce monotona: “Dottoressa Fischer, al momento sappiamo, come ha detto lei, che un gruppo di esponenti estremisti hanno preso in ostaggio una ventina di lavoratori turchi e si sono barricati nel castello. Ed è chiaro che nessuno di noi vorrebbe vedere queste cose. Resta da vedere anche come hanno fatto ad entrare, quali connivenze hanno avuto, dal momento che nel castello ci sono aule museali, per cui è tutt’altro che abbandonato.”
“Dottor Dremmler, lei prima ha parlato di culto. Non le sembra un po’ esagerato?” chiese la conduttrice.
“Neanche un po’. Vede è un errore comune, minimizzare il fatto che il nazismo fu una religione, con i suoi rituali, i suoi sacerdoti e i suoi adepti. A Wewelsburg si studiava e inculcava la nuova religione, la croce uncinata destinata a soppiantare la croce cristiana. A Wewelsburg si compivano gli studi preliminari e si dava il là alle spedizioni dell’Ahnenerbe. Che poi, ironicamente o meno, vi siete mai chiesti se, fisicamente, gente come Himmler o Hitler sarebbe stata accettata come ariani purosangue? Io ho qualche dubbio. Ma la follia isteria e religiosa obnubilò le menti. Credetemi, quello fu un attacco delle schiere del Male all’ordine Celeste. Ma questo gli storici seri non possono dirlo. E un altro attacco del Male sta per essere portato al Mondo adesso. A Wewelsburg.”
“Uno storico serio non può dire questo, lo ha detto lei. E neanche un commentatore serio” lo punzecchiò la Fischer.
“Mai detto di esserlo.”

Wewelsburg.

“Eccoli lì, i nuovi sceriffi sono pronti a entrare in azione” disse Romano a Özdemir e a Reinders indicando il commando che si stava preparando ad attaccare il castello.

Attaccarono con tre distinte direttrici. Si calarono dagli elicotteri protetti dal fuoco amico, e a gruppetti di due e cinque cominciarono a rastrellare le stanze del castello. Le granate flashbang accecavano e stordivano, poi loro entravano e sparavano ai neonazisti.
Tutto liscio.
Sino a un certo punto.
L’ex sergente del Col Moschin Stefano Fantini si muoveva insieme al francese Louis Brochard, ex GIGN (Groupe d'intervention de la Gendarmerie nationale). Un francese mingherlino che si muoveva come un ratto e mordeva come un cobra.
“Andiamo di là” disse Fantini. Si trovavano nelle sale più interne della torre nord.
“Ho visto Herzog andare di là” rispose Brochard. Herzog era il team leader.
“Allora gli diamo una mano.”
Arrivarono giusto in tempo per vedere il gruppo di Herzog, che non s’era avveduto di loro due, lanciare una granata flashbang. Fantini e Brochard si tapparono le orecchie e chiusero gli occhi. Nonostante ciò una lama di luce li fece sobbalzare e quando staccarono le orecchie si sentirono un po’ rintronati. Dalla stanza arrivavano raffiche e urla. Si precipitarono e rimasero di sasso.
Uwe Herzog con una pistola presa dal cadavere di un neonazista stava finendo a uno a uno gli ostaggi.
“Ma che cazzo stai facendo” urlò Fantini, che subito si ritrovò cinque mitragliette puntate addosso.
“Stanne fuori Fantini. E anche tu, Brochard. Questo non è il nostro gioco, ma il gioco della politica. Io eseguo gli ordini.”
Rimasero così.
I morti immobili e i vivi impietriti.

Massimo Bencivenga 







 
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