Sembra ieri, eppure sono passati ben otto anni. Otto anni fa moriva, solo, in una camera d’albergo, Marco Pantani: era il 14 Febbraio del 2004. Forse le date, i giorni, le ricorrenze hanno un peso; forse Marco non ce la fece a rimanere da solo, non dopo quello che aveva dato, nella notte degli innamorati.
Me li ricordo nel 1994, giovane professionista, vincere due tapponi di fila al giro d’Italia, e stupire anche i francesi al Tour; gli appassionati di ciclismo videro in quel ragazzo che s’alzava e volava sui pedali, il primo serio avversario di Indurain, il passista per antonomasia che però teneva eccome in salita. Miguel il Navarro dava distacchi misurabili con la sveglia a crono e teneva in salita. Prima di Marco, perché gli scatti di Marco facevano male anche a Miguelon, il re dei passisti.
Emozionava Marco, quando si toglieva la bandana, un gesto che ricordava il Silvester Stallone di Over The Top, che si girava il cappello e vinceva. Quando Marco si toglieva la bandana un brivido correva nelle case degli italiani, ecco adesso scatta, era questo il pensiero di tutti. L’adrenalina cominciava a circolare, certi e consapevoli che stava per succedere qualcosa. A dire la verità, pur essendo un suo fan, non lo reputavo in grado di vincere una grande corsa a tappe.
Ed invece, nell’A.D. 1998, Marco Pantani mi sbalordì, vincendo, nello stesso anno, Giro d’Italia e Tour de France. Fu il primo, ed unico italiano, per adesso e per chissà quanto tempo, ad affermarsi ne La Grande Boucle dai tempi di Felice Gimondi nel 1965.
Fece la doppietta come fece Fausto Coppi. E come fecero il mitico Jacques Anquetil, il Cannibale Eddie Merckx, il grande Bernard Hinault, l’immenso Stephen Roche, il sommo Miguel Indurain.
Come fece Marco Pantani, che seppe issarsi, di forza e con coraggio, a questo Olimpo come faceva sull’Alpe d’Huez, dove nessuno è mai salito come lui.
Impresa si vincere Giro e Tour nello stesso anno non è riuscita nemmeno a gente del calibro di Laurent Fignon e Greg LeMond. E nemmeno al superman Lance Armstrong.
Come nei tapponi nei quali faceva la differenza, dalla vetta si scollina e comincia la discesa. La discesa cominciò dopo il 1998.
Nel 1999 infatti fu fermato, in maglia rosa, al Giro d’Italia. Da quel momento in poi niente fu più come prima.
Aveva un modo di vincere diverso, disse in un video Davide De Zan, un modo unico, aveva fantasia, coraggio, amore per l’impresa, ti faceva battere il cuore, ti coinvolgeva lasciandoti con le lacrime agli occhi perché sapevi che ogni volta la sua capacità di osare e di soffrire l’avrebbe portato a realizzare ciò che nessuno credeva possibile.
Già, gli altri vincono. Lui emozionava.
Massimo Bencivenga
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