La morte del caporale Alessandro Di Liso ha bruscamente riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la questione Afghanistan e la nostra presenza nell’area, suppur sotto l’egida della Nato. Il generale Fabio Mini non troppo tempo fa non ha parlato di morte annunciata per qualche nostro errore, una volta tanto i portavoce post-tragedia ci hanno risparmiato la retorica del “lo stavamo dicendo da mesi”, ma ha posto l’attenzione sulle mutate regole di ingaggio e sul fatto che gli afgani dispongono di ordigni capaci di rendere vulnerabile ogni blindato. In guerra si muore.
Questa sempiterna regola sembra essere sistematicamente dimenticata da militari e politici, di destra o di sinistra, sino al momento di una vittama, quando partono strali e pianti. In alcuni casi devo dire che si riscontra sincero cordoglio da parte delle istituzioni, e i militari piangono davvero una giovane vita spezzata prima ancora di un collega o un commilitone. Pur tuttavia il giorno dopo la questione viene relegate nelle “varie ed eventuali” e l’agenda di governo passa allo scandalo sessuale del deputato Caio e all’inaugurazione della fondazione presieduta dal senatore Tizio. La situazione in Afghanistan è ancora hot, calda. I ribelli islamici afgani stanno premendo e facendo intimidazioni al fine di boicottare le elezioni, definite democratiche, che dovrebbero insediare un governo eletto e rappresentativo. Le notizie dicevo sono tutt’altro che interessanti, i ribelli islamici afgani si stanno organizzando per una nuova jihad, non più contro gli inglesi dell’ottocento o contro i sovietici d’inizio anni ’80, ma contro i sedicenti esportatori della democrazia e della libertà nel mondo che rispondono al nome degli Stati Uniti d’America e i loro alleati occidentali. i ribelli islamici afgani lo hanno detto chiaramente, vogliono cacciare in malo modo gli occidentali dal loro territorio. E tra gli odiati occupanti adesso ci sono anche i nostri compatrioti impegnati a presidiare un territorio senza sapere né perché né per come. Come poche altre volte da 7 anni a questa parte i nostri militari sono estremamente esposti e potrebbe, purtroppo, scapparci un altro morto. Di certo non una bella situazione per la maggioranza di governo che deve gestire un crescente malcontento e una percentuale, visto che il premier ci tiene tanto, che indica in circa il 60% gli italiani che vorrebbero un ritiro o che comunque si pensasse ad un’exit stategy dall’Afghanistan, dal momento che gli alleati sono andati lì non tanto per i talebani e l’11 settembre, ma per controllare il flusso di droga. E in tanti lo hanno capito.
Massimo Bencivenga |