L'Italia come Mumbai? I nostri militari fanno ridere... armiamoci!
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L'Italia come Mumbai? I nostri militari fanno ridere... armiamoci!

Gli attacchi a Mumbai ci devono imporre una riflessione sulla nostra sicurezza interna

L'Italia come Mumbai? I nostri militari fanno ridere... armiamoci!

Quello che è successo la settimana scorsa a Mumbai, ossia la serie simultanea o quasi di attacchi terroristici, pone un interrogativo inquietante. E’ un modello esportabile? Purtroppo la risposta è: sì, certamente. Anche in Italia mi ha chiesto ingenuamente mia sorella. Le ho risposto che se fossi un terrorista l’Italia sarebbe il primo paese che mi verrebbe in mente. Non riusciamo a certificare quanti sono gli immigrati in Italia, e non perché devono essere necessariamente loro, e tale considerazione porta alla naturale conclusione che l’Italia non riesce a capire chi entra e chi esce dal paese; e se entra dove va o cosa porta con sé. In una metropoli poi diventa virtualmente impossibile controllare ogni obiettivo sensibile, ossia ogni persona o ogni struttura (uffici, scuole ospedali, hotel, etc..) nella quale sono presenti persone.

Cosa possiamo fare? D’acchito bisogna inasprire il controllo, anche in borghese dal momento che la gente s’innervosisce nel vedere in giro divise e, di concerto, intensificare l’attività di intelligence. Una parola, intelligence, che abbiamo mutuato dagli americani e per la quale non esiste una valida traduzione in italiano; esiste però una buona traduzione del suo opposto: ignoranza. Ignoranza di informazioni. I nostri 007, di stanza a Forte Braschi, la nostra Langley, non hanno mai brillato per capacità informative e quelle volte che hanno combinato qualcosa, vedi caso Abu Omar, sono scoppiate crisi diplomatiche; senza contare le volte, caso Telecom, in cui anche l’Italia ha sperimentato i rischi e la pericolosità dei servizi segreti deviati, ossia asserviti ai capricci e alle voglie di questo o quel politico. La raccolta di informazioni dovrà essere intensificata anche se, da, non ci garantirà in modo assoluto. Israele, l’Inghilterra e, nel passato, il Sudafrica sono le nazioni più addestrate a fronteggiare attacchi terroristici e non di rado vengono colte con i “pantaloni abbassati” come si dice in gergo. In un passato non troppo lontano l’Italia si è trovata a fronteggiare la minaccia dei sequestri, una minaccia cui non era preparata. Lo Stato, a suo tempo, reagì con l’istituzione di gruppi speciali, il GIS dei carabinieri nacque in quegli anni (1978) ed ebbe il suo battesimo di fuoco con l’irruzione nel supercarcere di Trani, e di leggi speciali. Quella di varare leggi e “regole d’ingaggo” ad hoc non sarebbe una cattiva idea. In guerra le leggi cambiano, e quella che stiamo vivendo, perlomeno dal 2001, è una guerra strisciante contro un nemico subdolo, invisibile e pronto a tutto. Dobbiamo fare altrettanto. Piccolo inconveniente, i nostri soldati possono a volte essere ridicoli, come combattenti. Pensate a qualche militare che conoscete e chiedetevi in tutta onestà se vi sentite tranquilli difesi da lui. Io non lo sono. E a chi potrebbe obiettare che una militarizzazione non è la soluzione pongo questa domanda.

 

 

Secondo voi è così difficile in Italia, con l’attuale sorveglianza, avvelenare una fonte o una condotta? Volete o no un militare a difenderla?

                                                                                                         

                                                         Massimo     Bencivenga

 

 
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