Il G20 che si è tenuto recentemente verrà ricordato non solo per il “rimprovero” della regina al premier Silvio Berlusconi, reo di parlare troppo e a voce troppo alta, ma anche perché raramente tanti Capi di Stato si sono incontrati con un obiettivo comune. Una sorta di nuova Bretton Woods nella quale decidere una nuova politica finanziaria globale. Il G20 di Londra, fortemente voluto dal premier inglese Gordon Brown e dal Presidente Barack Obama, ha tuttavia messo in evidenza non poche discrepanze. I paesi più liberali, Usa e Inghilterra, sono quelli che hanno reagito nella maniera, per così dire, più socialista nazionalizzando le banche e cercando di minimizzare i danni.
Solo che tale politica richiede ancora qualche sacrificio sociale. Ancora. In altre parole si salvano le banche con l’aiuto di tutti; le stesse banche che si sono arricchite e si sono lanciate in spericolate operazioni tenendo all’oscuro i loro contribuendi e giocando con i loro risparmi. A volte la recessione è una medicina amara che però deve essere bevuta. Una delle misure prese è stata quella di accordare nuove risorse al Fmi, circa il 25% di queste risorse dovrebbero essere destinate alla fase di rilancio. A ben vedere il Fmi, pensato, insieme alla Banca Mondiale, dal John Maynard Keynes che va tanto di moda ultimamente, non ha funzionato molto bene negli ultimi anni. Pur senza arrivare ad esagerazioni è stato spesso strumento nelle mani dell’occidente capitalista contro il comunismo; i paesi che si affrancavano dal comunismo venivano sì aiutati, ma veniva anche innescata negli stessi la spirale del debito nei confronti del Fondo stesso che, non pago, molto poco istituzionalmente, faceva figli e figliastri usando la leva finanziaria come una pistola fumante alla tempia dei paesi socialisti o comunisti. Andate un po’ dalle parti della Russia, della Polonia, della Bolivia, dell’Argentina, del Sudafrica, dell’Indonesia e, in questo periplo della disperazione, domandate un po’ in giro cos’hanno fatto per loro il Fmi e la Banca Mondiale, organismi di fatto perlopiù controllati da un’elite anglosassone. Adesso a questo campione istituzionale, transnazionale e umanitario sono stati accordati nuove risorse. Non erano queste l’idea e l’intenzione di Keynes che aveva in mente un organismo neutro e regolatore. Altro punto dolente sono stati i paradisi fiscali. Anche i bambini possono recitarne a memoria una decina. Eppure, nonostante la loro esistenza e la loro posizione sia ben nota, è stato demandato all’Ocse il compito di studiare i parametri per stilare e approntare la lista dei paradisi fiscali. Il presidente degli Stati Uniti un paradiso fiscale ce l’ha in casa: il Delaware, uno dei 50 stati è un paradiso fiscale. La Svizzera si è già sentita punta sul vivo. Staremo a vedere se l’Ocse vorrà colpire duramente o se vorrà viceversa solo buttare fumo negli occhi. A parole si sono riempiti tutti la bocca di belle parole; nei fatti la vera tempra e la forza dei presidenti si vedrà quando dovranno toccare i poteri forti che li hanno sostenuti. Sarkozy ha chiesto una linea dura sui paradisi fiscali. Non è stato accontentato. Se la crisi è di tutti, e chi ha avuto i soldi è più responsabile della povera gente è giusto che siano anche loro a fare dei sacrifici. Al solito però, conoscendo le umane inclinazioni, a pagare la crisi saranno le classi già disagiate e penalizzate. Per quanto riguarda la posizione in casa Italia a meno che non si mettano in atto misure drastiche ed impopolari da questo buco non ne usciremo solamente aspettando che esca il bel tempo. E sinora non è stato fatto niente. La Grecia e il Portogallo, rappresentati dall’Ue, sono con l’acqua alla gola; l’Ungheria di fatto è alla bancarotta; il Giappone, una volta la seconda economia del mondo, è indebitato e i suicidi sono in aumento, lì preferiscono morire all’onta; l’India potrebbe veder ridimensionata la sua crescita. Bel quadretto vero? E’ più reale di quello che ci propinano i leader. Sul Titanic che affondava l’orchestra suonava ancora.
Massimo Bencivenga |