Tra qualche giorno inizierà la corsa per il Colle, per la carica di Presidente della Repubblica. Una scadenza, quella di quest’anno, che cade in un momento di forte stallo politico, un cortocircuito istituzionale che di certo non ha giovato, né gioverà ad una economia in fase di stagnazione e che rischia, per una serie di motivi, di deflagrare nella nefasta fase economica che si è soliti chiamare stagflazione.
Per adesso la cosa sembra essere scongiurata, perché, perlomeno a sentire i comunicati ufficiali, l’inflazione è sotto controllo. O comunque non galoppa.
Ma torniamo al toto-Quirinale. I nomi che circolano sono sempre quelli di un po’ di tempo fa. non ho molta esperienza diretta di queste elezioni. Ricordo l’elezione di Scalfaro, in un altro momento molto delicato (con dimissioni anticipate di Cossiga), che fu molto, molto laboriosa. Con il Dc Forlani che si sentiva già incoronato e che invece fu impallinato, presumibilmente, dai suoi stessi compagni di cordata. Democrazia Cristiana che poi ripiegò su Oscar Luigi Scalfaro. E qui ci sta una parentesi. Al pari delle elezioni del Papa, anche per quelle al Colle vale qualcosa del tipo: “Chi entra Presidente della Repubblica nelle consultazioni ne esce Parlamentare”.
Una prova da addurre può essere rappresentata dalla mancata elezione, a ruolo di Prima Carica, di cavalli di razza quali: Alcide De Gasperi, Arnaldo Forlani, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti. Non è riuscito nell’impresa neanche Giovanni Spadolini, Aldo Moro sarebbe stato un papabile. Con Fanfani ci provarono per oltre 20 votazioni, poi Forlani (nel 1971 segretario della Dc) e la Dc optarono per Giovanni Leone. De Gasperi invece non riuscì a portare al colle il suo candidato: il Conte Carlo Sforza. L’impresa di portare il proprio candidato al Quirinale riuscì a Ciriaco De Mita, quando fece eleggere (al primo scrutinio) Francesco Cossiga.
Nel 1948 la spuntò l’ex Governatore della banca d’Italia Luigi Einaudi, un tecnico ante litteram.
Così come fu sostanzialmente un tecnico o quantomeno un indipendente, Ciampi, a spezzare, nel 1999, l’alternanza tra democristiani e socialisti (anche se Saragat era un socialdemocratico). Anche Ciampi, come Cossiga, fu eletto al primo scrutinio.
Nel 2006 D’Alema per un po’ accarezzò il sogno, come pure Andreotti, ma la palma del vincitore se la prese Lord Giorgio Napolitano. Che ha alta e ferma la barra istituzionale in un momento burrascoso. Adesso a chi toccherà? Qualche giorno fa mi ero espresso a favore di uno tra Arturo Parisi e Fabrizio Barca.
Non ho cambiato idea, e i due non sono affatto considerati. Le luci della ribalta stanno illuminando (e non è una bella cosa) Romano Prodi e Emma Bonino.
E subito la slime machine, la macchina del fango, si è messa in moto. A mettere in ombra Prodi c’è la piovra Goldman Sachs e le solite consorterie dei complottisti; per la Bonino hanno cominciato a tirare in ballo le storie di quando si batteva per l’aborto. Insomma, mi sa che sono partiti un po’ lunghi e che possano essere battuti in volata.
Del resto, con gli occhi di tutta l’Europa puntati addosso non possiamo permetterci di eleggere persone che non siano dei veri e propri campioni politici.
Massimo Bencivenga
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