Ancora qualche mese e i mondiali brasiliani saranno realtà. Ma in Brasile i mondiali si son già tenuti una volta, nel 1950, e da quelle parti lo ricordano bene ed eccome, dal momento che l’atto conclusivo, anche se non era una finale in senso stretto, è passato alla Storia del calcio, e non solo, come O Maracanaço, il disastro del Maracanã.
Spero di non incappare in uno spaventoso bombing, ma anche l’ideatore dei Mondiali di Calcio, il francese Jules Rimet, ai tempi la competizione iridata si chiamava proprio Coppa Jules Rimet, ebbe a dire: “Era stato tutto previsto, tranne la vittoria dell'Uruguay”. Già, davvero tutto sembrava tramare a favore dei carioca di O’ Mestre Ziza, alias Zizinho e della formidabile punta del lanza Ademir.
Tutto sembrava pronto per la vittoria in campo, e fervevano i preparativi per dare la stura a quelle che si annunciavano come imminenti e future ore di ebbra, dionisiaca e orgiastica felicità. A mettersi di traverso al Brasile furono i muscoli e la grinta di Obdulio Varela e la sagacia tattica e la classe di Juan Alberto Schiaffino, un big assoluto di tutti i tempi di cui troppo spesso ci si dimentica.
La temperatura calò improvvisamente sul Maracanã quando Ghiggia, imbeccato da Perez, s’infilò come coltello nel burro all’interno dell’area carioca e battè Barbosa per il 2-1, dopo che Friaca aveva portato in vantaggio i brasiliani e dopo il pareggio di Schiaffino.
I dati non sono affatto certi, ma si parla ancora oggi di infarti e tifosi che si suicidarono lanciandosi dagli spalti. Il gol di Ghiggia è ancora oggi ricordato come la marcatura che ha causato più morti. Quanti? Come detto, difficile dirlo. Ma ci furono.
Non per colpa dell’uruguagio, s’intende, che anni dopo invece disse di preferire essere ricordato come uno dei tre uomini che son stati in grado di ammutolire il catino ribollente del Maracanã. Gli altri due sono stati Frank Sinatra e Giovanni Paolo II. Va detto anche che, dopo quella Caporetto, i brasiliani cambiarono anche la maglia ufficiale, che sino a quel momento consisteva di maglietta bianca, con colletto blu, e pantaloncini e calzettoni bianchi.[
Juan Alberto Schiaffino meriterebbe, oggi, ben altra considerazione, anche perché nel 1954, il dio del calcio, come lo chiamavano in Sudamerica, ne stava facendo un’altra delle sue. Ai mondiali svizzeri del 1954, passati alla Storia come quelli del Miracolo di Berna, in semifinale si ritrovarono di fronte i campioni in carica dell’Uruguay e l’Aranycsapat, la squadra d’oro, la formidabile Ungheria del colonnello Ferenc Puskas, di Nándor Hidegkuti e di Sándor Kocsis.
I magiari erano fortissimi, ma Schiaffino, schiumando rabbia e sciorinando calcio, li costrinse ai supplementari. Una partita bellissima, che fece dire a Brera “Ungheria-Uruguay è la più bella partita che abbia mai visto giocare: ho imparato di più in quelle due ore che in vent'anni di calcio giocato e criticamente descritto”. Ma questa è un’altra Storia, bellissima, ma pur sempre un’altra Storia.
E l’Italia? Gli azzurri erano bicampioni in carica e arrivarono in Brasile in nave. Perché in nave? Perché era troppo recente il ricordo della tragedia di Superga che decimò il Torino e ipso facto anche la nazionale italiana.
I cronisti raccontano di una traversata tagliagambe di sedici giorni, con palloni persi nell’oceano mentre si allenavano. Di palloni persi, disse anni dopo Amedeo Amadei, recentemente scomparso, non ve ne furono, anche perché non ce n’erano. Gli italiani furono accolti da migliaia di immigrati, ma non avevano birra nelle gambe.
Il debutto fu contro la Svezia.
Ora, la Svezia due anni prima aveva vinto le Olimpiadi mettendo in mostra il mitico Gre-No-Li, vale a dire il tris d’assi Gren, Nordhal e Liedholm. Dopo l’approdo in Italia i tre vennero considerati professionisti per le leggi scandinave e pertanto non più nazionali. Difatti non c’erano, e anche per tal motivo, forse, la commissione tecnica composta da Novo (Presidente), Bardelli, Copernico e Biancone sottovalutò la partita con la Svezia, che ci vinse per 3-2 mettendo con sugli scudi Hasse Jeppson, il futuro Mister 105 milioni e O’ banco di Napoli, che rifilò due reti agli azzurri, vanamente e malamente contrastato da Parola, l’uomo ritratto in posa plastica sulle figurine Panini.
Inutile fu la vittoria per 2-0 contro il Paraguay con gol di Carapallese e Pandolfini, mentre contro la Svezia avevano marcato Muccinelli e lo stesso Carapallese.
Al di là della partita Uruguay-Brasile, quel mondiale è ricordato anche per essere stato il primo al quale parteciparono anche i maestri inglesi, che subirono un inopinato rovescio per 1-0 versus gli Stati Uniti, che fecero qualcosa di molto simile a quanto fatto un secolo prima, quando il schooner America si aggiudicò la Coppa delle Cento Ghinee.
E dire che erano arrivati con ben altre prospettive, gli inglesi, potendo contare su elementi come Alf Ramsey, Billy Wright, Mortensen, Mannion nonché il leggendario Tom Finney del Preston, entrato nel mito dei «bianchi maestri» come uno degli attaccanti più dotati, mai apparsi sui campi britannici. Eppure non bastò e anche loro andarono anzitempo a casa, pagando forse anche lo scotto del clima, un elemento che non va sottovalutato anche nel 2014.
Successe anche che i calciatori indiani avrebbero voluto giocare scalzi. E non gli fu ovviamente concesso.
E successe anche che Benito Lorenzi, il popolare Veleno, sbagliò nave e arrivò in Italia un mese dopo gli altri; fece eccezione proprio Amadei, che per il ritorno scelse e pagò di tasca sua un viaggio aereo.
Riporto infine le parole di Jules Rimet che disse:
“Era stato tutto previsto, tranne la vittoria dell'Uruguay. Al termine della partita, io avrei dovuto consegnare la coppa al capitano della squadra campione. Un'imponente guardia d'onore si sarebbe dovuta formare dal tunnel al centro del campo, dove mi avrebbe atteso il capitano della squadra campione (naturalmente il Brasile). Preparai il mio discorso e giunsi presso gli spogliatoi pochi minuti prima della fine della partita (stavano pareggiando 1 a 1 e il pareggio premiava la squadra di casa). Ma ecco che, mentre camminavo per i corridoi, il tifo infernale si interruppe. Alla salita del tunnel, un desolante silenzio dominava lo stadio. Né guardia d'onore, né inno nazionale, né discorso, né solenne premiazione. Mi ritrovai da solo, con la coppa in braccio e senza sapere cosa fare. Nella confusione, scorsi il capitano dell'Uruguay, Obdulio Varela, e quasi di nascosto, stringendogli la mano, gli consegnai la statuetta d'oro e me ne andai, senza riuscire a dirgli neanche una parola di congratulazioni per la sua squadra.”
Non avevano fatti i conti con il genio di Juan Alberto Schiaffino.
Massimo Bencivenga |