Se chiedete a qualche appassionato di calcio, anche di una certa età, se conosce Eric Gerets, probabilmente la vostra domanda resterà inevasa.
Ve lo dico io: era il terzino del Belgio che in Italia, durante gli Europei del 1980 nel belpaese, impedì alla nazionale che aveva giocato il miglior calcio in Argentina, e che avrebbe vinto in Spagna nel 1982, di arrivare a giocarsi la finalissima europea in casa.
Non era il miglior calciatore di quella compagine, è famoso più che altro per via di una barba fluente, di una gran rimessa laterale con le mani (converrete, non proprio il massimo per un calciatore) e perché venne poi a giocare nel Milan.
Aveva la barba da rivoluzionario, ma incarnava il calcio tattico (a voler usare un eufemismo) di quel Belgio allenato da quella vecchia faina delle panchine che era Guy Thys.
Italia e Belgio s’incontrarono nel girone.
Già, - e allora?, vi starete chiedendo, come mai i belgi preclusero la finalissima?
Perché nel 1980 si arrivò per la prima volta a una fase finale degli europei di calcio con otto squadre, divise in due gironi.
Semplice, no? Sì e no, perché gli organizzatori s’inventarono una regola cervellotica: le prime vanno a giocarsi la finale; le seconde classificate accedono alla finalina per il terzo posto.
Niente semifinale incrociate, insomma.
L’italia capitò con l’Inghilterra di KKK Kevin “King” Keegan, all’epoca giocatore più pagato al mondo, due volte pallone d’oro, incubo notturno di Bearzot. Keegan fu scoperto come calciatore da una suora. Poi c’era la Spagna, la nazione era uscita da qualche anno dal franchismo, in panca sedeva la leggenda Kubala e in campo c’era un curioso misto di gente sul viale del tramonto e giovani promettenti.
E poi c’era il Belgio, una incognita.
L’Italia e le altre persero così tanto tempo a studiarsi a vicenda che permisero al Belgio di passare.
L’Italia non riuscì ad avere ragione, complici anche le parate di Arconada, della Spagna: fini 0-0. Pareggio, ma 1-1, anche per Belgio-Inghilterra. Bearzot alla fine decise di far marcare Keegan da Tardelli, dal momento che Oriali lo aveva sofferto oltremodo in una precedente partita. La mossa si rivelò azzeccata. Azzeccatissima. Lo schizzo nazionale non solo annullò l’asso di Albione, ma, preso dall’estro giusto, marcò il gol-vittoria. Nell’altra partita il Belgio vinse 2-1 con la Spagna, il primo gol lo marcò proprio il nostro Gerets.
Chi è avvezzo ai calcoli calcistici avrà già capito che l’Italia aveva sì gli stessi punti del Belgio, ma un diverso quoziente reti. Ergo, per andare in finale c’era un solo risultato: battere il Belgio.
L’ho già detto che Thys era una faina, vero? Bene, il ct belga, ben consapevole che un pareggio sarebbe andato a fagiuolo, impostò la gara su una difesa accorta, accortissima, su un tatticismo esasperato, con falli continui, con perdite di tempo, usando sapientemente e scientemente il retropassaggio al portierone Pfaff (altro nome misconosciuto ai più), autore di una paratissima su Graziani. L’italia reclamò anche un rigore su Bettega, ma nisba. Di quella partita difensiva, Gerets fu uno dei protagonisti. Rivoluzionario a guardare la barba, in campo era di quelli sparagnini all’eccesso.
Uno strano collettivo, quello. Decisamente difensivo, arroccato dietro su Pfaff e Gerets, aveva faticatori a centrocampo come Van der Elst e un Ceulemans finto attaccante, dal momento che era un centrocampista. Van der Elste e Ceulemans c’erano anche nel 1986, insieme a Gerets e Pfaff e altri, quando con i “giovani” Claesen e Scifo (che lo era davvero dal momento che aveva 20 anni) arrivarono, sempre guidati da Thys, al quarto posto ai mondiali messicani. In quella squadra c’era anche Grun, che poi fece la fortuna del Parma di Scala.
Geretes ci sarebbe stato anche a Italia ’90. Ma sto divagando, ritorniamo al 1980.
Una squadra operaia dicevo, ma con in mezzo al campo la classe e il fosforo di Wilfried Van Moer, regista classico, Thys lo volle con sé anche dopo un’assenza dalla Nazionale durata quattro anni, dal '75 al '79, e nonostante i 35 anni, una enormità per l’epoca. Il terzo portiere del Belgio 1980 era uno che avrebbe segnato un’epoca: il guascone Michel Preud'homme.
Se il Belgio aveva un regista di 35 anni, la Germania Ovest (sì, lo so, adesso si dice Germania e basta) ne aveva ben due. Hansi Müller (c’e sempre un Müller nella Germania) di 23 anni e Bernd Schuster, poco più che ventenne, l’uno mancino, l’altro destro.
Due che avrebbero meritato di più.
Ah, Wilfried Van Moer c’era anche quando nel 1972 il Belgio ci eliminò nel doppio confronto (all’epoca era così la formula) precludendoci la final four nel Belgio stesso. Nel 2-1 del ritorno a Bruxells, dopo lo 0-0 di Milano, Van Moer fece il primo gol e il grande Paul Van Himst, raffinato 10, capace di segnare come e più di un centravanti, il Pelè Bianco prima di Cruijff, fece il 2-0, diventato poi 2-1 per effetto del gol di Riva.
Ecco, in quella occasione, a ben vedere, il destino ci inviò un warning a caratteri cubitali: la generazione messicana era alla frutta, ma Valcareggi andò avanti lo stesso e ci fu la debacle del 1974.
Paul Van Himst ha giocato davvero con Pelè: nel film Fuga per la Vittoria.
Massimo Bencivenga |