Oggi, a valle dell’ennesima finale persa dal Benfica, tutti a parlare della Maledizione di Bela Guttmann. Anche i risultati di Google son passati dai mille scarsi di ieri sera ai 7000 abbondanti delle 12 di oggi. Cosa che non sarebbe successa se avesse, meritatamente, vinto contro il Chelsea. Si racconta che negli anni ’60 la Rai avesse imposto alle annunciatrici Rai di spostare l’accento per via della fica presente in Benfica. Ma torniamo a noi, e alla maledizione di Bela Guttmann. Un anatema nato proprio nel ’62. Ma chi era Guttmann. In una meritoria classifica degli allenatori che hanno fatto la Storia del Futbol Guttmann starebbe di certo tra i 50 all-time.
Ho detto in una meritoria classifica, perché in tanti, anche appassionati, avranno sentito questo nome per la prima volta ieri sera. Bela Guttmann, come Herbert Chapman (l’uomo che introdusse i numeri sulla maglia), come Hugo Meisl, come sir Matt Busby è stato un gigante della panchina. Punto.
Il geniale zingaro delle panchine è stato uno che ne ha viste di cose che noi umani. Vide da giocatore nell’American Soccer League, il crollo di Wall Street nel 1929; vide la ferocia cieca dell’Olocausto, al quale scampò riparando in Svizzera; pianse un fratello, meno fortunato di lui, morto in un campo di concentramento; seppe dei carri armati sovietici per le strade dell’amata Ungheria mentre era in Sudamerica. Mentre vedeva e faceva tutto ciò, riusciva anche a conoscere e allenare gente come: Puskás, Kocsis, Czibor, Nordahl, Schiaffino, Liedholm, Zizinho, Coluna. Quasi la creme del tempo, se nel mazzo ci fossero stati anche Gren, Kopa, Di Stefano, Moreno, Pedernera e Kubala, allenando squadre come Milan, San Paolo, Porto, Benfica e Peñarol.
Si racconta che Guttmann fosse dal barbiere quando José Carlos Bauer, ex nazionale brasiliano e giocatore di Guttmann ai tempi del Säo Paolo, fece irruzione nel salone per indurre lo stesso Guttmann a osservare “un ragazzo che non appartiene a questo mondo”.
Il ragazzo in questione era Eusebio, la risposta europea a Pelè. Che c’entra tutto ciò con la Maledizone di Guttmann? C’entra, perché una doppietta di Eusebio, in una memorabile finale di Coppa dei Campioni vinta per 5-3 versus il Real Madrid di Puskás e Di Stefano, portò il secondo titolo continentale al Benfica. Dopo la vittoria chiese, e si aspettava, un aumento. Che non gli fu concesso. “Il suo stipendio è sufficiente”, gli dissero i dirigenti lusitani. Il mago ungherese decise di lasciare passeggiando tra i canali di Amsterdam, sede della finale di Coppa dei Campioni: un club guidato da simili persone, pensava, non meritava di continuare a vincere con lui. Ai giocatori però lo disse solamente dopo il fischio finale, quando cominciarono i festeggiamenti. A nulla valsero le lacrime di Eusebio, né il carisma di Coluna, il giocatore scelto per convincere Guttmann a tornare sui propri passi. E lasciando il Benfica, anche per evitare di allenare “quattordici commendatori”, titolo del quale era stato insignito al pari dei giocatori da parte di Salazar, lanciò la sua maledizione: “Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d'Europa ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni”. Nel ’63 fu il Milan di Altafini a dare il primo dispiacere. Poi ci fu la papera del portiere nella finale con l’Inter nel ’65. Poi la sconfitta ai supplementari per 4-1 nel ’68 per mano del Manchester di Bobby Charlton e George Best. Con un palo colpito dai lusitani sull’1-1 e a pochi minuti dalla fine. E arriviamo alla sconfitta ai rigori contro il PSV nell’88. Nel 1990, nuova finale e nuova sconfitta per il Benfica di un giovane Aldair contro il Milan di Sacchi e Van Basten, Donadoni e Baresi. Senza contare la finale (doppia) di Uefa 1982-83 per mano dei belgi dell’Anderlecht dello sfortunato Ludo Coeck. Per la verità la prima parte della Maledizione non vale più: il Porto ha vinto due volte la massima competizione europea per club.
Cinque finali di Coppa dei Campioni perse. Ma cinque finali di Coppa dei Campioni/Champions League le ha perse anche la Juventus. E lì, in casa Juve, chi è che porta rogna? Čestmír Vycpálek?
Altre maledizioni, più morbide, riguarderebbero Pelè (il Brasile, se lui assiste a una finale non vince) e Maradona (l'Argentina da quanto non c'è più non ha mai più fatto una semifinale a un Mondiale). Massimo Bencivenga
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