Faccio immediatamente una premessa: non stravedo per Beppe Grillo, più bravo a scovare anomalie che ad offrire soluzioni, concrete e praticabili al fine di eliminare o limitare le stesse. Detto questo, l’ostracismo del Pd nei suoi confronti però, duole ammetterlo, sa tanto di apparatchik sovietico, di carriere decise e bloccate dal partito in nome dei lavoratori, di Santa Madre Russia e contro il Grande Satana occidentale e imperialista. La retorica del regime, nero o rosso, è trita e ritrita, e la conosciamo tutti.
Poco più di due anni fa il discorso al Lingotto di Veltroni doveva, perlomeno nelle intenzioni, portare una ventata di novità, anche se i più smaliziati non vedevano alcuna novità nella candidatura di un uomo, Veltroni, che 13 anni prima si era candidato, perdendo la sfida con baffino Massimo D’Alema, alla guida del Pds, restyling del vecchio Pci.
A quella autointronizzazione seguì la legittimazione farsa dell’Ottobre 2007.
Ad ogni buon conto il Pd si definiva nuovo, aperto alla base, agile e radicato sul territorio, ma già alle primarie non tutti partirono alla pari, in piena coerenza con la parvenza di democraticità attraverso la quale incoronare Veltroni. Ora il Pd si definisce nuovo solo a parole in quanto non tiene conto della base, dei giovani blogger, delle eventuali forze fresche, e nuove, che vogliono portare un qualche contributo.
La cupola è sempre la stessa con una quarantina di notabili tra ex democristiani ed ex comunisti passando per laici e numerari dell’Opus Dei che prima di parlare e decidere cose di Stato interpellano Camillo Ruini (vero Paola Binetti?). Adesso bisogna scegliere un nuovo capo per il Pd; della partita per adesso sono, o perlomeno hanno fatto outing, perché un’altra caratteristica degli uomini del Pd è fare i sottomarini, Dario Franceschini e Pierluigi Bersani. Si paventa anche la corsa del giovane blogger Adinolfi. Ma il vero big e terzo incomodo è rappresentato da Ignazio Marino, senatore, medico e professore, amico personale del cardinal Carlo Maria Martini e sostenuto dal giurista Stefano Rodotà, che ha diretto importanti istituti per trapianti anche negli States. La vera novità però è rappresentata dalla candidatura di Beppe Grillo. Questa candidatura è stata rifiutata dallo stato maggiore del Pd che ha addotto tutta una serie di scuse puerili (la residenza, la tessera, il partito è una cosa seria, etc.), tutto pur di non confrontarsi con 70% di persone che sul sondaggio on line di L’Espresso preferisce il comico genovese a tutti gli altri.
Nello stesso sondaggio Dario Franceschini prende il 3, 3%, Pierluigi Bersani il 8,7% e Ignazio Marino il 15,1%.
Un risultato inconcepibile per la cupola, per i D’alema e per i Rutelli, per i Fioroni e per i Marini, per i Bettini e per i Soro, per i Letta e per le Bindi e Binetti e così via. Un risultato indigesto anche a personaggi quali Gianni Cuperlo e Filippo Andreatta che hanno fatto la trafila e sono lì lì per subentrare, ma la marea della base, e l’apertura al popolo, rischia di scompaginare i loro piani futuri. E non è un caso che proprio Ignazio Marino e Mario Adinolfi sono stati gli unici, tra i papabili, ad accogliere con favore la candidatura di Beppe Grillo. Sarà perché hanno vissuto in Usa e lavorano su Internet? Tra i “vecchi” questa novità potrà far piacere a persone come Massimo Cacciari e Sergio Chiamparino, da sempre critici nei confronti del partito, e ad Arturo Parisi teorico dell’ulivo, del pluralismo e del rinnovamento continuo. I boiardi di Stato del Pd non hanno paura di Beppe Grillo, qualora si candidasse farebbero di nuovo valere anni e anni di amicizie, relazioni, favori e, con molta probabilità, facendo quadrato intorno a Franceschini o Bersani riuscirebbero a portare uno dei due al comando servendo agli italiani l’ennesimo pasto nuovo in salsa gattopardiana. Però una qualche crepa si potrebbe aprire nel muro tra loro e gli elettori. E da quella crepa passerà la luce.
Massimo Bencivenga |