L'ombra del Duce su Italia 1934. Il rifiuto di Zamora e gli arbitraggi troppo casalinghi.
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L'ombra del Duce su Italia 1934. Il rifiuto di Zamora e gli arbitraggi troppo casalinghi.

"La squadra di casa ha questo vantaggio innegabile. Lo svizzero Mercet ci arbitrò tre volte, e due lo svedese Eklind. Lo trovammo in semifinale: gli avevano detto: se arbitri bene fai anche la finale. Così fu." Parola di Felice Borel II

L'ombra del Duce su Italia 1934. Il rifiuto di Zamora e gli arbitraggi troppo casalinghi.

I mondiali di Brasile 2014 sono ormai di là a venire, ma prima ancora ci saranno le Olimpiadi invernali di Sochi che hanno già fatto parlare per fatti che con lo sport non dovrebbero entrarci, come gli attentati e come la provocazione Usa di mandare come portabandiera una donna gay in spregio alle norme e alle leggi del Paese di Putin.

Una dichiarazione di Pescante in merito all’opportunità di tenere slegati la politica e lo sport ha scatenato diverse reazioni, in Rete e non.

Peraltro, come dimenticare l’attentato a Monaco 1972?

E come interpretare, se non in chiave politica, il boicottaggio Usa alle Olimpiadi di Mosca 1980 e la risposta, per ripicca, dei paesi d’oltrecortina a Los Angeles 1984?
E lo sdegno di Hitler davanti alle vittorie di Jesse Owens?

Insomma, lo sport come propaganda politica non lo scopriamo certo nel 2014, con buona pace di Pescante.
In particolare, i regimi dittatoriali hanno sempre usato le vittorie degli sportivi come esempio di buongoverno e per alimentare il culto della personalità del dittatore stesso.

In Italia è mai successo qualcosa del genere?
Per la verità ci son forti dubbi nonché pesanti insinuazioni sulla prima vittoria mondiale dell’Italia ai giochi casalinghi del 1934.

Le partite incriminate sono i quarti contro la Spagna e la semifinale contro lo spettacolare Wunderteam austriaco di Mathias “cartavelina” Sindelar, di  Karl Zischek, di Peter Platzer allenato dal mago della panchina Hugo Meisl.

Andiamo un po’ a vedere.
Il 31 maggio del 1934 a Firenze, allo stadio Berta di Firenze, si incontrarono, in un incontro valevole per i quarti di finale, gli azzurri e la Spagna.
Le partite tra Italia e Spagna non sono mai state delle partite semplici, alcune erano già passate alla Storia, come un celebre 7-1 rifilato dagli azzurri alle Olimpiadi del 1928, quando l’Italia invero avrebbe meritato di più.

La Spagna, quella Spagna, era un avversario temibile, aveva appena eliminato il Brasile di Leonidas e poteva contare in porta sui balzi e sulle prese del leggendario basco Ricardo Zamora, considerato il miglior portiere dei tempi e uno dei migliori all-time.
Uno che si diceva in grado di ipnotizzare gli avversari.
Aveva fisico e carisma Zamora, volava come un gatto, era bravissimo nelle uscite basse come nelle prese aeree, e aveva le stimmate del capo, del boss, era uno che non si nascondeva, e indossava sempre orgogliosamente il basco per ricordare, sempre, ovunque e a chiunque, quali fossero le sue origini e di come ne fosse orgoglioso e fiero.

Definire la partita maschia significa ricorrere a un eufemismo, azzurri e spagnoli diedero vita a un partita di calcioni più che di calcio. Intorno al trentesimo minuto, la Spagna passò in vantaggio per effetto della marcatura della mezzala, termine che ai tempi indicava una posizione ben diversa da quella odierna, Regueiro, uno dei più temuti.

Sul finire del tempo, Pizziolo batté una punizione, sullo spiovente intervenne da par suo Zamora che bloccò la sfera di cuoio, ma perse la presa in seguito alla carica di Angelo Schiavio, la palla rotolò dalle parti di Ferrari Giovanni che non ebbe difficoltà a impattare la tenzone.

Nel secondo tempo l’arbitraggio fu a senso unico, ma gli attacchi dell’Italia si scontrarono con le acrobazie di Zamora in evidente stato di grazia, nonostante le botte che Schiavo e altri, spalleggiati da un arbitro scandalosamente casalingo, gli rifilavano. I regolamentari terminarono 1-1. E così anche i supplementari.

Ai tempi non c’erano i rigori, le partite, semplicemente, si ripetevano. Ciò che successe quella notte rimane oggetto di discussione. Un giallo sportivo. 

Nella ripetizione alcuni, italiani e spagnoli, non ce la fecero a riprendersi dalle botte e dai calci presi.

Il giorno dopo, la Spagna si presentò alla sfida senza El Divino Zamora in porta, sostituito da Nogues, ma non furono della partita neanche Langara e Iraragorri, i giustizieri del Brasile.

Cosa successe quella notte?
Ci furono pressioni politiche?
Ordini superiori dalla Spagna “suggerirono” all’allenatore iberico di non schierare Zamora?
E’ vero, come di sussurrò, e si sussurra ancora, che il Duce in persona intervenne nottetempo presso il governo spagnolo nella notte affinché facessero pressioni per non far schierare Zamora nella ripetizione della partita?

Sia come sia, se possibile, la seconda sfida fu ancora più cruenta della prima, ma arrise ai colori azzurri, che passarono in vantaggio al 12’, quando Meazza intervenne di testa su un angolo di Orsi, sfruttando anche una uscita a vuoto del sostituto di Zamora.

E se possibile, il nuovo arbitro, lo svizzero Mercet fu ancora più casalingo, al punto che non convalidò un gol alla Spagna inventandosi il fuorigioco di Regueiro.

Giova ricordare che detto Mercet, una volta ritornato in patria fu sospeso dalla Federcalcio iberica per l’eccessiva e spudorata parzialità dimostrata. Insomma, non facemmo una bella figura.

Ma Zamora cosa disse? In realtà, sino alla morte, interrogato su quel rifiuto, su quel No Mas, Zamora ha sempre sostenuto la tesi dell’infortunio, di lancinanti dolori al costato e non già di pressioni o aperte minacce.

Non so cosa successe, magari lo sapessi, ma non regge tanto neanche l’ipotesi di un Zamora antifascista, che sembra più romanzata che reale, dal momento che durante la guerra civile spagnola rischiò la pelle per mano dei repubblicani, e fu anche imprigionato, prima di ricevere, anni dopo, un importante riconoscimento da Francisco Franco.

La sua fu una decisione d’impeto, del quale si pentì, perché quella rappresentava la prima e unica opportunità mondiale; El Divino Zamora chiuse con il calcio nazionale con la sola medaglia d’argento presa ad Anversa 1920, laddove peraltro fu espulso nella partita contro l’Italia.

L’Italia evidentemente non gli portava bene, perché anche il primo giocatore a segnargli una doppietta a livello internazionale fu un italiano: il pugliese Raffaele Costantino nel 1930.

Sulla questione arbitri, c’è da aggiungere altro, in merito a ciò che successe nel 1934. Lo faccio con le parole del bomber italiano della Juventus Felice “Farfallino” Borel II, in campo nella seconda partita con la Spagna.

Son parole pesanti come macigni, almeno per come vedo il calcio e lo sport: “La squadra di casa ha questo vantaggio innegabile. Lo svizzero Mercet ci arbitrò tre volte, e due lo svedese Eklind. Lo trovammo in semifinale: gli avevano detto: se arbitri bene fai anche la finale. Così fu. L'Austria dei Platzer, dei Sesta, degli Smistik, dei Sindelar, degli Zischek, dei Viertl fu messa in ginocchio da un gol un po' fasullo di Guaita, qualcuno, forse Meazza portò via la palla dalle mani di Platzer in un'azione confusa, ne approfittò Guaita.”

Più chiaro di così.

Massimo Bencivenga

 

 

 

 

 
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