IL DIVO
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IL DIVO

Di Paolo Sorrentino. Anno di produzione: 2008

Con una zoommata sul volto di Andreotti(magistrale Toni Servillo!)trafitto dagli aghi che lo fa somigliare ad una creatura di Hellraiser(i cinefili dell’horror ricorderanno…), inizia la pellicola di Paolo Sorrentino. La stessa voce narrante del divo Giulio dirà che quella cura orientale è l’ultimo tentativo per lenire le sue tremende emicranie che altrimenti combatte a colpi di effervescenti aspirine.

Poi un incalzante susseguirsi di immagini, accompagnate da musiche e didascalie originali e scioccanti, che rievocano i delitti che hanno scandito la recente storia dell’Italia: il banchiere Calvi, il faccendiere Sindona, Aldo Moro, il giornalista Pecorelli, il giudice Falcone. Tutti delitti su cui si cela l’ombra oscura del 7 volte presidente del Consiglio: il “papa nero”, “l’eternità”, “Belzebù”: il divo Giulio Andreotti.

Siamo agli inizi degli anni novanta, alle soglie di quella Tangentopoli che avrebbe, da lì a poco, distrutto(?)il vecchio sistema politico.

Andreotti è nominato per la settima volta presidente del consiglio. Riceve nel suo quartier generale la propria corrente di partito(credo che tutti sappiano che la Democrazia Cristiana era sistematicamente e gerarchicamente suddivisa in correnti – di potere - ), fra cui “spiccano” Cirino Pomicino, un alto prelato e Salvo Lima. Questi “bravi ragazzi” sono fotografati da Sorrentino in un immagine che ricorda molto le iene di Tarantino. Il divo Giulio, impenetrabile e sarcastico fino al cinismo, prende possesso di Palazzo Chigi(dopo aver “duellato”con un gatto persiano), forma il suo Governo, va a Mosca(con un quadro di Marx che incombe sul suo letto), cammina per casa, si aggira di notte(accompagnato dalla scorta)per le strade di Roma, si confessa, si tormenta. C’è soprattutto una cosa che non gli dà pace: il pensiero di Aldo Moro e le terribili parole che questi gli scrisse prima di morire, parole di grande disprezzo nei suoi confronti. Ma Andreotti prosegue la sua marcia, prossimo obiettivo: il Quirinale.

 

Ma a questo punto le inchieste dei giudici di Milano si abbattono come una scure sulla politica italiana falciando gran parte dei vecchi partiti e uomini politici. Al divo Giulio è riservata ben altra sorte: addirittura viene apertamente accusato di associazione mafiosa. Andreotti, intanto, è stato nominato senatore a vita, ma la giunta del Senato per l’autorizzazione a procedere concede il nulla osta: il processo si farà. I pentiti di mafia Buscetta e Di Maggio, fra gli altri, svelano al procuratore Castelli i biechi retroscena della recente storia italica. Raccontano di come Calvi e Sindona ripulivano il denaro sporco della mafia prima attraverso il Banco Ambrosiano e poi lo IOR(la banca del Vaticano), con il bene placido, ovviamente, di cardinali e politici; e di come furono uccisi perché cercarono di fare i furbi…o perché sapevano troppo. Sostengono che Andreotti sia il mandante dell’omicidio del giornalista Pecorelli, “colpevole” di conoscere, e pronto a pubblicare, inquietanti notizie sul divo Giulio. Raccontano del famoso bacio fra Andreotti e Totò Riina, il capo dei capi mafiosi(che verrà poi arrestato…senza mai confessare nulla), di come l’onorevole Salvo Lima fosse il referente politico di cosa nostra: l’anello di congiunzione fra le istituzioni e la criminalità organizzata; e di come questi fu ucciso perché “inadempiente”. Il divo Giulio, infatti, tradendo il suo delfino siciliano, alla fine degli anni ottanta decise di non aggiustare alcuni processi in Cassazione e di non impedire il maxi-processo alla mafia. Lima ne fece le spese.

Ma si potrebbe scavare ancora oltre: si potrebbe arrivare, appunto, al caso Moro, di come lo statista fu praticamente abbandonato da tutti e condannato a morte; alle numerose stragi terroristiche che hanno insanguinato questo Paese; alla camorra; alla banda della magliana ; al massacro di Portella della Ginestra; al  bandito Giuliano….e altro ancora. Andreotti viene assolto dalle accuse imputategli dal 1980 al 1992 perché il fatto non sussiste; a nulla valgono le numerose testimonianze dei pentiti che, si badi, coincidono perfettamente pur non essendo questi mai in comunicazione fra loro. I capi di imputazione precedenti al 1980 vengono cancellati semplicemente perché…prescritti. Per quel che riguarda l’omicidio Pecorelli, forse non tutti sanno che Giulio fu condannato e…assolto “miracolosamente” in Cassazione.

Poi c’è il “caso” evocato da Scalfari, la fulminante battuta di Grillo, “I migliori anni della nostra vita” che scivolano su imperscrutabili rughe. Infine, il divo Giulio, sotto i riflettori della coscienza, fa “pubblica” confessione: E’ vero, si è agito nel male e col male, ma per raggiungere il bene, “Questo Dio lo sa…e lo so anch’io”. Ma il fatto, “caro” Giulio, è che, innanzitutto, la logica machiavellica presenta molte falle, e poi, soprattutto, la tua concezione di bene non è la stessa di questo Paese.

 

Una regia sopraffine che inanella inquadrature sempre ricercate e suggestive, un’ambientazione che mescola realismo a rarefazione con venature grottesche, una narrazione surreale ed un superlativo Toni Servillo fanno di questo film un autentico gioiello da collezione.

Sia lode a Paolo Sorrentino, quindi, e a tutte le opere talentuose e di prestigio forgiate nel tricolore: in questo si, tifiamo Italia e sentiamoci orgogliosi di appartenere a questa nazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alfredo Paragliola

 
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