“E quando l’angelo aprì il settimo sigillo, si fece nel cielo un silenzio di circa mezz’ora. E vidi i sette angeli che stavano dinanzi a Dio, e furon loro date sette trombe. E il primo angelo diede fiato alla tromba, e ne venne grandine e fuoco misto a sangue, e furono gettati sopra la terra, e la terza parte della terra fu arsa, e fu arsa tutta l’erba verdeggiante. E il secondo angelo diede fiato alla tromba, e una specie di grande montagna di fuoco ardente fu gettata dal mare, e la terza parte della terra diventò sangue. E il terzo angelo diede fiato alla tromba, e dal cielo cadde una stella grande, ardente come la fiaccola…La stella si chiamava Assenzio…”
Apocalisse – Giovanni 8, 1-11
Il cavaliere Antonius Block ritorna dalle crociate e, attraversando una Danimarca devastata dalla peste, si appresta a ritornare al proprio castello. Lungo la via del ritorno, il suo animo, proprio come la peste che divampa sulla terra, è tormentato e ammalato. E’ il dubbio, l’insicurezza, la confusione che lo divora. Di fronte all’ineluttabile fine, si chiede quale sia il senso della vita e se esista una vita dopo quella materiale e terrena…e se potrà mai esistere un Dio. Attanagliato da queste incertezze, gli compare dinanzi una figura pallida, completamente vestita di nero: è la morte. Essa gli dice che la sua ora è giunta. Il cavaliere, per guadagnar tempo, sfida la morte a scacchi: e così iniziano a giocare una lunga e meticolosa partita. Block è accompagnato dal suo scudiero Jons che, a differenza di lui, è pragmatico e convinto assertore del nulla eterno dopo la morte. I due s’imbattono in una compagnia di attori: due uomini, una donna e un bambino, Mikael(ricordate questo nome). Jof, il padre del bambino, dice a sua moglie Mia: “Mikael diventerà un grande acrobata, o un giocoliere che riuscirà in un numero incredibile: far rimanere una palla immobile nell’aria”.
Il cavaliere entrando in contatto con questi saltimbanchi ne trae sollievo ed un sereno conforto, specialmente guardando il piccolo Mikael. Ma sono solo brevi momenti: la morte, anche con i suoi inganni e i suoi silenzi, è in continuo agguato…e Block non ha ancora trovato risposte alle sue lancinanti domande. Le cerca in una donna condannata al rogo perché ritenuta colpevole di essere una strega: “Tu hai visto il diavolo?” Le chiede “Voglio vederlo anch’io…Sicuramente lui saprà parlarmi di Dio.” E la donna: “Guardalo attraverso i miei occhi.” Ma Block le risponde: “Nei tuoi occhi vedo solo tanto terrore.” E nel momento del supplizio il cavaliere e lo scudiero negli occhi di quella donna vedono soltanto spavento, disperazione…ed uno sguardo perso nell’ignoto e in un profondo vuoto. Block, Jons e i saltimbanchi, poi incappano in una tetra e cupa processione di flagellanti che ammoniscono sull’inevitabile fine che sta per giungere.
I protagonisti(nel frattempo si sono aggiunti anche altri personaggi) riprendono il viaggio, ma l’aria è sinistra e qualcosa di invisibilmente angoscioso aleggia intorno: è la morte che viene a fare il suo lavoro. Stavolta la vede anche Jof, la vede seduta di fronte al cavaliere mentre stanno ultimando la partita a scacchi. E’ l’unico che riesce ad avere quella visione e, impaurito, scappa col carro assieme a sua moglie Mia e al piccolo Mikael. Block li vede: vuole beffare la morte cercando di salvare almeno loro. Con un movimento del braccio fa cadere alcuni pezzi dalla scacchiera, la morte si distrae e la famiglia di saltimbanchi riesce a fuggire. La…mossa riesce: il cavaliere si è sacrificato per salvare quella famiglia. Si è sacrificato: perché la morte, nel rimettere i pezzi a posto, li posiziona in modo da dare lo scacco matto a Block e concludere la partita. Il cavaliere, lo scudiero ed il resto della compagnia giungono, infine, al castello di Block: qui li attende, paziente ed inesorabile, la morte. Il destino si compie e nessun dubbio che lacera i mortali viene sciolto.
L’ultima immagine si racchiude nella visione di Jof che scruta un corteo danzante con a capo la morte seguita dal cavaliere e da tutti gli altri: la speranza di conoscere qualche risposta oltre l’ignoto, forse, risiede nel piccolo Mikael.
Tratto da una piéce teatrale dello stesso Bergman, il grande regista svedese mette in risalto, attraverso un bellissimo gioco di luci ed ombre, il dubbio atavico dell’uomo: il mistero del dopo-morte. Attingendo a piene mani da Shakespeare, l’essere umano si trova sperduto di fronte alla sua mortalità…ed un misto di paura e speranza lo pervade nel profondo della propria essenza.
Bergman vede nel piccolo Mikael, l’arcangelo Michele, colui il quale può “far rimanere una palla immobile nell’aria”, colui che può fermare il mondo e trasformare la mutevolezza in serafica fissità, in modo da permettere agli uomini di guardare oltre l’ignoto e, forse, trovare pace…forse. Bergman parla da cristiano che ha fede, ma sa benissimo che si tratta solo di una speranza, di un’ipotesi che sfiora drammaticamente l’illusione. E con grande bravura ci proietta l’unica certezza di cui dispone l’essere umano: la sua fine. Per l’uomo esistono solo due stadi: l’ESSERE o il NON ESSERE.
Alfredo Paragliola