“Un uomo precipita da un palazzo di cinquanta piani e, per darsi coraggio, ad ogni piano dice: fin qui tutto bene, fin qui tutto bene, fin qui tutto bene. L’importante non è la caduta…ma l’atterraggio.”
Con una Parigi in lontananza che, in prospettiva, attraverso un effetto ottico, schiaccia la sua immensa periferia e i suoi abitanti, inizia questa sconvolgente e straordinaria pellicola. I protagonisti sono Vinz(ebreo), Hubert(pugile di colore)e Said(magrebino), tre giovani che vivono sbandando nelle banlieue francesi.
C’è stato un violento scontro, in nottata, fra i giovani delle banlieue e le forze dell’ordine: violenza realmente accaduta che Kassovitz rappresenta con immagini riprese dalla cronaca.
Un ragazzo, a causa degli scontri, è in fin di vita. Vinz prende possesso di una pistola perduta da un poliziotto durante i disordini, e giura di pareggiare i conti: prima che passino le 24 ore ucciderà un poliziotto. I tre, incappando in personaggi surreali, decidono di passare la notte nella megalopoli. I treni si snodano dalla periferia verso Parigi, collegando l’orgoglio dei francesi benpensanti con quello che invece vorrebbero relegare nell’oblio. Ma i tre giovani attraversano l’oblio e penetrano nella grande città: parlano di politica, di filosofia di e da strada, vanno ad una mostra pullulante di snob, fumano, si scontrano con nazisti e poliziotti. Memorabile è la metafora della scala mobile alla metropolitana: un uomo ben vestito scende le scale senza fare un passo, e Hubert, rivolgendosi a Said dice: “Ecco, lo vedi quello? Con quella giacca di pelle da borghese? Scendono le scale senza fare un passo; si lasciano trasportare dalla corrente; sono razzisti ma non lo ammettono; votano Le Pen e non lo dicono: il peggio del peggio!”(Le Pen era ed è il leader dell’estrema destra francese).
Ritornano in periferia e Vinz non ha ucciso nessun poliziotto, ma gli scontri che hanno avuto con le forze dell’ordine…lasciano il segno. Un poliziotto li aspetta al varco, le 24 ore sono passate, è l’alba: tragico(e non rappresentato)duello finale.
Balza subito all’occhio, fra le tante cose, il fatto che i tre protagonisti sono francesi, si, ma di origine non occidentale. Sono i figli di quello sfruttamento coloniale perpetrato per secoli(e, a ben vedere, ancora oggi)da parte delle potenze mondiali nei confronti degli altri Paesi. Figli di quello sfruttamento che ora sono diventati residui da confinare ai margini di quell’opulenza e di quella ricchezza rubata e che oggi fa “grandi” molti Stati.
Il mondo ha scoperto tardivamente, per così dire, il fenomeno delle banlieue francesi; rimbalzato sulle cronache internazionali solo qualche anno fa, il dramma delle periferie che costellano le grandi città della Francia scoppiò già nei primi anni ’90. Mahieu Kassovitz con questo film ne rappresenta, magistralmente, un cruento e durissimo spaccato. Bianco e nero che fotografa insicurezze e paure, immagini aeree che volano sulla periferia e la sua desolazione mentre stady cam serpeggiano per le strade seguendo percorsi esistenziali. Kassovitz fa entrare la telecamera direttamente nella psicologia dei protagonisti, scolpisce statue di emarginazione, disegna i contorni di una società egoista e ne misura la profondità del baratro in cui sta per cadere.
Mathieu Kassovitz, gran talento, per questo film fu premiato come miglior regista al festival di Cannes. “La Haine” suscitò…odio anche al momento della premiazione…Il regista, dopo aver ricevuto il riconoscimento, quando scese le scale della croisette vedette i poliziotti di guardia girargli le spalle…per “protesta”…..
Non ti crucciar di loro, Mathieu, come dice un grand’uomo di mia conoscenza: “I corvi si muovono a stormi, le aquile volano da sole.”
Alfredo Paragliola
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