In nome del popolo italiano
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In nome del popolo italiano

Di Dino Risi. Anno di produzione: 1971

Questa è la storia di uno snervante duello giudiziario e psicologico fra il giudice Bonifazi e l’ingegnere Santenocito(rispettivamente, gli impareggiabili Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman).

Il film inizia con la morte di una bella e giovane donna, Silvana, che per procurarsi da vivere e mantenersi gli studi si presta a fare l’accompagnatrice per ricchi imprenditori e uomini d’affari. Dai referti medici risulta che la ragazza è stata percossa prima di morire e, secondo anche altri indizi, se ne deduce che sia stata uccisa. Dell’omicidio viene accusato l’ingegner Santenocito, un avido imprenditore senza scrupoli(fra l’altro molto “devoto” alle gerarchie ecclesiastiche e “ricambiato” dai vertici cattolici), per il fatto che questi, in base ad altri indizi, avrebbe dovuto vedere Silvana la sera stessa dell’omicidio. Inoltre, Santenocito non ha alcun alibi per quella serata. Il magistrato inquirente è il giudice Bonifazi, e subito fra i due s’instaura una forte antipatia.

L’ingegnere cerca di corrompere Bonifazi, poi cerca in mille modi di procurarsi un alibi, poi si scaglia verso il giudice accusandolo di non essere imparziale. “Io vedo una cosa sul suo volto”, gli dice, “che mi fa paura: e cioè IDEOLOGIA!”. Eh si, perché si capisce chiaramente che Bonifazi è un uomo di sinistra, un comunista…quando questo termine faceva paura(e non come oggi che invece fa ridere). Ma non per l’URSS, la dittatura rossa o fregnacce del genere, faceva paura perché una volta…tanto tempo fa…i comunisti o, comunque, gli uomini di sinistra erano coloro che volevano cambiare la società e sanarla dalle meschinità e dalla corruzione che, in questo film, sono rappresentati da Santenocito. L’ingegnere, comunque, alla fine riesce a procurarsi un falso alibi che, però, viene abilmente smascherato dal giudice. A questo punto tutto sembra giungere al termine: Bonifazi fa emettere il mandato di cattura nei confronti di Santenocito per omicidio e falsa testimonianza.

 

Ma a questo punto, quasi casualmente, nelle mani del magistrato perviene un diario scritto dalla ragazza stessa, diario di cui egli ne è il primo lettore. Le parole scritte sul diario sono intrise di malinconia, disillusione e dolore. La ragazza studiava inglese, e giocando amaramente con le parole, traccia gli ultimi tempi della sua vita. La ragazza è afflitta per un indimenticabile amore perduto, per il fatto che è costretta a fare la puttana d’alto bordo, per una famiglia lontana in tutti i sensi. Afferma, poi, di essere stata tamponata mentre stava in automobile e di aver riportato contusioni al ginocchio e alla testa, le stesse contusioni che avevano indotto i medici legali a parlare di percosse. La ragazza è stanca, avvilita, annoiata: decide di farla finita, e prima di farlo, annota nel diario il suo suicidio. Il giudice Bonifazi, quindi, si rende conto che l’ingegnere è innocente.

La lettura del diario avviene per le strade in una Roma avvolta da un silenzio spettrale; quel giorno, infatti, si gioca un’ “importante” partita di calcio: Inghilterra-Italia. Bonifazi è colto da un dubbio feroce: consegnare il diario come prova fondamentale a discarico di Santenocito, o cancellare la prova e mandare in galera un uomo innocente, si, per quel delitto, ma colpevole per ben altri delitti impuniti? Il giudice sembra optare per la via legale, ma qualcosa gli fa cambiare idea. La partita è finita e la nazionale di calcio ha vinto: ed ecco scendere in piazza il peggio della società italica. Assurdi e ridicoli caroselli invadono la città. Bonifazi vede l’ingegner Santenocito raffigurato in tutto ciò che per lui è sbagliato e costituisce malcostume: un militare fanatico, un prete bigotto, un nostalgico fascista, un burino che si dà a grottesche baldorie. Infine, svariati cialtroni rovesciano e danno alle fiamme un’automobile di una turista inglese dopo averla trascinata fuori dalla stessa: è la goccia che fa traboccare il vaso. Disgustato di fronte a tanto lerciume, il giudice getta il diario nelle fiamme, condannando Santenocito alla galera. Lo condanna non per quel delitto, ma per tutti quelli di corruzione e devastazione ambientale per i quali non è mai stato condannato, e per essere il rappresentante del male della società: In nome del popolo italiano…quello onesto.

Dino Risi dipinge un affresco di un’ Italia senza anima e pervasa dalla corruzione. Un Paese corroso dal cinismo, dove conta molto la fastosità dell’apparenza(l’attenti fatto da un militare al passare della lussuosa automobile dell’ing. Santenocito e non al passaggio del giudice Bonifazi perché a bordo di un umile motorino).

Questo bellissimo film è un duro attacco ai potentati(Chiesa, politica, grande industria)che soffocano la società. E’ un duro attacco nei confronti dell’italiano medio: inebetito dal pallone, cialtrone e mediocre fino all’inverosimile.

Grazie Dino per averci regalato questi ed altri capolavori(“Il sorpasso”, “La marcia su Roma”, “I mostri”, etc.). Grazie per aver rappresentato le(poche)virtù e i(molti)mali di questa società. Grazie per aver raccontato con mano sapiente, ironica, caustica e magistrale, la storia dell’Italia e degli italiani. Onore a te.

Alfredo Paragliola

 
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dino risi

1971

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