Le Olimpiadi del 1980 sono state una competizione monca. Come del resto le successive, quelle di Los Angeles 1984. Perché monche? Perché a Mosca 1980 non parteciparono gli Stati Uniti e a Los Angeles, per ripicca, non andarono le nazioni d’oltrecortina. Erano altri tempi, c’era la cortina di ferro e la guerra fredda. L’Italia, che partecipò ad entrambe le competizioni, in alcuni casi si giovò di questa situazione andando a prendere delle medaglie forse inaspettate; medaglie che difficilmente sarebbero arrivate con tutte le nazioni presenti. Siamo così sicuri che Pietro Mennea, oro nei 200 metri piani, a 20 anni esatti dall’inattesa affermazione di Livio Berruti, avrebbe avuto la meglio sui coloured a stelle e strisce? Va però detto che, ai tempi, Mennea era il recordman mondiale nei 200, con il “famoso” 19,72”, e primatista europeo, con 10, 01”, limite quest’ultimo che rappresenta ancora il nostro record nazionale. Perché quel famoso virgolettato?
Perché a volte i record hanno delle storie interessanti. Tutti gli esperti di atletica dissero che quel limite avrebbe avuto vita breve. Ebbene, quel record ha resistito a numerosi assalti e fu aggiornato ben 17 anni dopo, alle Olimpiadi di Atlanta 1996, per effetto di Michael Johnson. Come si può ben vedere non sono solo gli economisti ad avere una capacità di previsione pari a quella dei cartomanti.
Per la verità Mike Marsh, oro a Barcellona 1992, in semifinale stampò un grande 19,73” rallentando vistosamente per salvare le gambe in vista della finale. Forse salvò le gambe, ma rinunciò ad iscrivere il proprio nome nell’albo dei record. Perlomeno dal punto di vista individuale, perché Mike Marsh fece parte di una staffetta 4x100 da record. Ma lasciamo la meteora Mike Marsh e torniamo alle Olimpiadi, non prima di dire che Pietro Mennea fu portabandiera dell’Italia a Seoul 1988, e non prima di ribadire che, a parere di chi scrive, per Londra 2012, esiste un solo portabandiera: Valentina Vezzali. Ma torniamo nella città degli angeli.
Nel 1984 a giovarsi della mancata partecipazione degli atleti “socialisti” furono, tanto per citarne uno il saltatore con l’asta che s’impose, un certo Pierre Quinon ; questi, indubbiamente nato con la camicia, non si ritrovò come avversario l’uomo che ha fatto la Storia del salto in alto: Sergey Bubka. Ma anche numerosi ginnasti, nuotatori (c’era un giovane Matt Biondi, che a Seuol 1988 conquisterà 7 medaglie), pugili, sollevatori di peso videro schiudersi, stante la mancanza di atleti d’oltrecortina di livello internazionale, inaspettate possibilità. Il record degli 800 m femminili appartiene ancora a Jarmila Kratochvílová, che non c’era a Los Angeles ma che due anni prima, ai primi mondiali di atletica, fece la difficile doppietta 400-800 m.
Forse Alessandro Andrei avrebbe vinto lo stesso, o forse no, nel lancio del peso. Lui gareggiava alla pari con gli atleti d’oltrecortina, l’argento di Roma 1987 sta lì a dimostrarlo, ma, visti i default, le sue possibilità aumentarono.
Le olimpiadi del 1984 sono ricordate soprattutto per essere state le Olimpiadi di Carl Lewis, il ragazzo che sarà chiamato “il figlio del vento” e che ripeterà, a distanza di 48 anni, l’impresa di Jessie Owens a Berlino 1936, ossia di vincere: 100, 200, 4x100 e salto in lungo.
Nel lungo, forse la gara che amava di più, Carl ha un altro record, questo difficilmente battibile. Carl Lewis ha vinto l’oro nel lungo in ben quattro Olimpiadi: Los Angeles 1984, Seoul 1988, Barcellona 1992 e Atlanta 1996.
Le Olimpiadi del 1984 videro anche un altro fenomeni, gente come Said Aouita nell’atletica, come Greg Louganis nei tuffi, come un giovane Michael Jordan nel basket. Mentre Evander Holyfield, il giustiziere di Mike Tyson, si dovette accontentare di un bronzo.
Massimo Bencivenga
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