L’ultimo romanzo “Il vento dei demoni” di Marco Buticchi è, more solito, costruito su più piani temporali e spaziali. Nell’ultimo lavoro un filone porta il lettore nell’età del bronzo, un altro lo catapulta da qualche parte nella Francia al tempo della crociata contro i catari e l’ultimo filone, molto più corposo, ha la sua genesi nell’iscrizione ad un partito di un giovane caporale a nome Adolf Hitler e, attraversando tutto il secolo scorso, arriva ai giorni nostri e ad un possibile mexican stand off, canna rigata contro canna rigata, o meglio arsenale nucleare versus arsenale nucleare, tra l’Iran e il mondo occidentale. Il minimo comune multiplo tra queste avventure è una pietra dai misteriosi poteri. Per quella pietra il sacerdote Athor e la sua amata Dehal dovranno affrontare la perfidia e la persecuzione di Karesh, la leggenda della pietra sarà legata anche a Montsegur (foto) e alla fuga d’amore di Aymon e Marie–Louise; la stessa pietra sarà al centro delle attenzioni dei gerarchi nazisti.
miscela le une e le altre facendo capire in modo chiaro quale male può essere il bene. Ovviamente, nel romanzo, non c’è solo il male. In sottofondo, ma presente, c’è anche il potere dell’amore per l’amata, la forza del bene, del giusto. Forza che può portare una vecchietta ad uccidere e una donna a vedere, in una fortezza assediata, non solo sangue e olio bollente ma anche il sogno infranto di tanti innamorati. Le parole che non si sono detti, le promesse non potranno mantenute, il pianto inconsolabile. Il Vento dei demoni, l’arma o la pietra è lì, sempre, né buona né cattiva. Ed è l’uomo a decidere. Sempre.
Massimo Bencivenga |