Nessun movente apparente, nessun intento apparente, nessun indizio apparente. E nessuna ferocia. Il Killer che da Cosenza a Bellona si lascia dietro una striscia di sangue innocente sembra non avere emozioni nell’uccidere, quasi fosse un burocrate del fato o un mistico dell’istante finale. Per il vicecommissario romano Mario Petrone, di stanza a Cosenza, il killer dei fiumi del meridione sembra essere un avversario sfuggente, a maggior ragione se deve difendersi anche dagli sgambetti e dalla tracotanza del suo diretto superiore, il commissario napoletano Crocillo. E a maggior ragione quando le indagini prendono due pieghe fuorvianti: una delle quali porta, incidentalmente, verso la malavita, verso la ‘Ndrangheta, La Cosa Nuova che, abbandonata la terra, è diventata colletto bianco, politica ed imprenditoria; l’altra, affascinante ancorchè fallace, lo vede investigare sui rituali dei Visigoti e sulla vita del re Alarico.
Mario Petrone, umiliato e messo in un angolo, condurrà, partendo da labili tracce, una indagine parallela, riannodando e stringendo nuove amicizie ed alleanze con i suoi colleghi. Indagini che lo porteranno nel mondo delle checche superstar, di isterici ed istrionici chef, delle chat room e della gastronomia di classe. Pian piano tutto diventerà più chiaro, le sue intuizioni come i suoi errori.
La caccia, iniziata sul Crati, a Cosenza, terminerà a Roma in modo inaspettato, ma non poi troppo, sul Tevere. Lì, sul Tevere, ancora una volta, la disciplina e la giustizia si piegheranno alle voglie terrene. A fare da sfondo alle vicende c’è un terzetto di “uomini che odiano le donne”, ma uno dei tre aveva solo l’intenzione di redigere una guida gastronomica.
Mario Petrone non è il consueto commissario/ispettore/maresciallo che siamo soliti leggere. E’, a suo modo, un poliziotto d’altri tempi, di quelli che sanno da che parte stare, di quelli che cenano con i colleghi e non con i confidenti; ha i suoi difetti, ma vivrà l’indagine come una sua catarsi personale. Intorno a lui si muovono personaggi verosimili, rotti ad ogni nequizia pur di difendere il feudo, quale che sia, personale.
Del Nostro sangue è un noir enogastronomico che non ha il ritmo del thriller classico, non ci sono rincorse spericolate né sparatorie. E il sangue non scorre a fiumi. Niente di tutto ciò. Del nostro sangue cresce come la pasta delle nostre nonne nei cassoni di legno: buona e genuina; il ritmo non adrenalinico non annoia il lettore, né rende il contenuto meno fruibile, meno “user friendly”, a voler usare uno slang più geek. Nel complesso è un romanzo originale nel tema ed attuale nella descrizione e nelle dialettiche interpersonali dei personaggi. A condire il tutto fa capolino di tanto in tanto una velata ed intelligente ironia sulle persone, a volte vere e proprie maschere, e sulle situazioni, come quella che vede Petrone, capace di allungare il vino con la coca-cola, rincorrere un raffinato gastronomo.
"Ottavio Parini aveva passato gli ultimi tre anni della sua vita scrivendo con poco costrutto e ingrassando. Non che in quel periodo l’interesse per il cibo fosse aumentato, anzi: quegli ultimi anni erano stati di sicuro i meno proficui della sua carriera di giornalista enogastronomico.
Si trovava adesso in giro per il Sud Italia a recensire osterie e ristoranti per la rubrica ‘Nuovi sapori di terre nascoste’, appuntamento bisettimanale che teneva sul più famoso quotidiano d’Italia. In realtà era alla ricerca di qualche chef di talento da lanciare: ambiva a incontrare un autentico innovatore culinario che fosse in grado di entusiasmarlo alla stregua di quanto gli era capitato in passato. Purtroppo restò deluso anche quella sera."
Dottor Farina qual'è la genesi del suo romanzo? Il romanzo nasce da una vita. Nel senso che possiamo anche scrivere qualcosa in tre mesi, ma il frutto sarà sempre e comunque un prodotto delle nostre esperienze, del nostro passato e delle nostre emozioni. Più in particolare mi incuriosì il nome di una piantina… l’aneto, ma nel romanzo ci sono i sapori e gli odori dei miei soggiorni di lavoro in giro per l’Italia a fare il cartografo. E gran parte del romanzo è stato scritto di notte, mentre davo il cambio a mia moglie nell’accudire la nostra primogenita: Irma.
Dottor Farina, le piacerebbe una trasposizione cinematografica del suo noir? Il cinema è un’altra delle mie passioni. Ovvio che mi piacerebbe, ma spesso film e libri fanno, come si suol dire, a cazzotti. E spesso registi e produttori pagano i diritti all’autore solo per non averlo tra i piedi durante le registrazioni.
Dottor Farina, sta già pensando ad un altro romanzo? Le rispondo subito. A Febbraio mia moglie ha partorito un’altra bimba: Annamalia.
Quale nota finale aggiungo che purtroppo i critici e le case editrici sempre più spesso tendono ad una mera classificazione dei libri in generi: gialli, noir, horror, avventura e così via. A questi tassonomisti vorrei dire "Cos'è Edipo Re?", ai nostri giorni verrebbe classificato come un noir.
I libri hanno due sole classificazioni: quelli belli e quelli che non lo sono. Del nostro sangue è un bel libro.
Massimo Bencivenga
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