Se è vero che ogni libro è un viaggio, allora La Mammana, il romanzo di Antonella Ossorio, edito da Einaudi, rappresenta qualcosa di più.
E’ il viaggio del diverso alla ricerca di un posto nel mondo che non veda la diversità come una maledizione e una barriera, ma come un momento di incontro e crescita. Come un istante, nel fiume del tempo, da cristallizzare per contemplare la natura che sperimenta se stessa.
Tema dominante del romanzo La Mammana è la diversità.
Tutti i principali protagonisti, la mammana Lucina, Stella e Bartolomeo sono, chi per un verso chi per un altro, delle singolarità.
Lo sarebbero anche adesso, immaginate un po’ nella Campania Borbonica del 1843. Ma le diversità non finiscono qui.
Con Lucina la natura, il caso o Dio, o forse tutti insieme, sembrano essersi divertiti a creare una creatura tanto affascinante quanto sfuggente, sia per via del suo inconfessabile segreto, sia perché in lei la natura terrena ha prevalso sul disegno primevo.
La piccola Stella, nata in una notte da fine del mondo per via una cometa ritenuta funesta, la diversità l’ha ereditata, marchiandola nel fisico, ma non nell’anima, sin dal concepimento.
Bartolomeo sarebbe a tutti gli effetti normale, a renderlo diverso è un amore di quelli talmente puri da far sembrare scolorito un diamante della più bell’acqua.
E’ questo amore luminoso e disinteressato che spinge Bartolomeo a trovare per Lucina e Stella una casa a Napoli, dal momento che i borghi rurali di Vairano Patenora e Marzanello mai e poi mai avrebbero di buon grado accettato e incluso le due donne.
Ma ogni luogo è paese, e la diversità, anche quando è speciale e prodigiosa, anche quando sembra opera più di un angelo che di un demonio, fa sempre un paura, attiva paure arcaiche, fa arretrare la ragione davanti all’improvviso giganteggiare del mostro della superstizione. E anche a Napoli, in una Napoli selvaggia e affascinante, tentatrice e bella come il peccato, diversa e normale a un tempo, Lucina e Stella non riusciranno a trovare quel posto nel mondo che tanto anelavano.
Troveranno, ma solo per un po’, sollievo e riposo nel momento in cui anche Bartolomeo, lasciando l’emporio montano per diventare un pisciaiolo, le raggiungerà. Ma, ancora una volta, il destino ha deciso altrimenti.
E’ un romanzo corale quella di Antonella Ossorio, scritto a più voci, con un linguaggio per certi versi desueto, ma appropriato al periodo e ai personaggi. E’ un romanzo potente, evocativo, che ti prende lo stomaco e te lo stringe in una morsa. Non fa sconti, la Ossorio, non si perita di compiacere il lettore, ma lo porta a contatto con le crudeltà della vita, con le sciocche superstizioni capaci di rovinarti la vita.
Un romanzo che non lascia indifferenti: e io l’ho amato. E lo consiglierò. Sempre.
La presenza degli elementi spirituali, le premonizioni e i rituali, unitamente alle traversie umane e al contesto narrativo, riecheggiano in maniera forte il “realismo magico” di cantori sudamericani come Isabel Allende, più ancora dell’ormai inflazionato, specialmente di questi tempi, Gabriel Garcia Marquez.
La scrittura e le descrizioni possono in qualche passaggio apparire ridondanti, o addirittura troppo didascaliche, ma, come in un puzzle magico, alla fine tutto andrà a posto, ogni parola aveva una funzione precisa e concorreva al dipinto finale, bello, in una strana e scientifica invarianza di scala, tanto da vicino come da lontano. Già, perché, accanto alle cieche e bieche superstizioni, nel romanzo c’è anche un pizzico di Scienza.
C’è un passaggio che mi ha colpito più degli altri.
A un certo punto, con gli occhi lucidi, Bartolomeo passa, rivolgendosi all’amata Lucina, dal voi al tu. E’ quel piccolo cambiamento grammaticale, quella stonatura, quell’improvvisa ed ennesima “diversità”, a gettare tra loro il ponte, a colmare la distanza e a permettere alle anime di incontrarsi.
Il brusco e repentino passaggio dal voi al tu verrà sublimato nel noi che li fece famiglia.
Il romanzo si apre e si chiude con notti rischiarate e illuminate da comete.
Del resto, anche loro, le comete, sono un po’ diverse.
Massimo Bencivenga |