Ritorna Joe Abercrombie, con i suoi eroi disillusi e cinici, umani, troppo umani. E ritorna il mondo circolare della Prima Legge con un nuovo romanzo e una nuova storia stand-alone, tra nuove e vecchie conoscenze. In Red Country il fantasy incontra qualcosa di straordinariamente simile all’epopea del far west, ma non nella visione, quanto piuttosto in quella più cruda, fatta di uomini pronti a tutto per il proprio tornaconto personale, gente disposta a vendersi per molto ma anche poco.
Red Country di Joe Abercrombie Gargoyle Books Collana “Extra”, euro 24,90, pp. 639, traduzione di Benedetta Tavani
Questo è il coraggio. Prendere la delusione e i fallimenti, la colpa e la vergogna, le ferite subìte e quelle inferte, e affondare tutto nel proprio passato. Ricominciare da capo, mandare al diavolo ieri e affrontare il domani a testa alta. I tempi cambiano. Ma solo chi possiede la lungimiranza di prevederlo e affrontarlo, solo chi è capace di adeguarsi prospera.
Non c’è pace nel mondo della Prima Legge: l’Impero seguita a dominare il Sud, l’Unione deve sedare una molesta ribellione interna, e i soldati di ventura non perdono occasione per farsi assoldare dal migliore offerente. A ciò si aggiunge la minaccia degli Spettri, la popolazione dei nativi che, stanca di subire i soprusi dell’uomo bianco, sta dimostrando con i fatti tutta la sua esasperazione. A risentire di questi fragili equilibri è la quotidianità della gente comune.
Shy Sud, per esempio, è una giovane donna delle Terre Attigue, che vive dei frutti del suo lavoro di contadina. Assentatasi dalla fattoria di famiglia assieme al patrigno Agnello per vendere frumento nella vicina città di Buon Commercio, al suo ritorno ha una brutta sorpresa: la proprietà è stata razziata e bruciata e i fratelli minori – il giovanissimo Pit e la piccola Ro –, affidatile dalla compianta madre, sono stati rapiti. Per ritrovarli, Shy e Agnello devono attraversare le Terre Remote. Così, su un inoffensivo carro condotto da un paio di buoi, ha inizio il loro cammino. Lungo la strada, i due si imbattono nei mercenari della Brigata della Fausta Mano, capeggiati da Nicomo Cosca (vecchia conoscenza dei lettori di Abercrombie). Tra i compari del generale spicca il suo legale Tempio – «uno dei bastardi più furbi che abbia mai conosciuto», nelle parole dello stesso Cosca. Shy e Agnello capiscono ben presto che condividere il viaggio con la pur scalcagnata compagnia può avere i suoi vantaggi. Tra duelli, faide e carneficine, arriveranno ai confini estremi delle Terre Remote – passando per Cresa, una città di frontiera in balìa della febbre dell’oro –, sulle montagne inesplorate, là dove li attende la resa dei conti.
Sesto titolo di Joe Abercrombie, eletto tra i migliori bestseller dal “Sunday Times” (2013) e dal “New York Times” (2014), Red Country è ambientato nel medesimo universo della trilogia “La Prima Legge”, così come Il sapore della vendetta e The Heroes. Se questi, però, affrontavano i temi della nemesi e della guerra, abbondantemente declinati dalla narrativa epico-fantastica, Red Country è qualcosa di totalmente diverso, un’esplosiva quanto spiazzante provocazione letteraria, un ibrido tra il fantasy e il western, che molto dice sulla supremazia della legge del più forte, così come sulla sete di conquista e sull’istinto primordiale di sopraffazione che attanagliano l’umanità.
Nel libro, guerrieri di lungo corso, abili spadaccini e formidabili arcieri, si mescolano a coloni e cercatori d’oro; si muovono tra carovane in fuga cariche di pepite e trasferimenti di mandrie ponderose; percorrono lande smisurate e sostano in fatiscenti cittadine dove l’alcol scorre a fiumi e i regolamenti di conti sono all’ordine del giorno; infine sono chiamati a fronteggiarsi con gli autoctoni, denominati Spettri, i signori, solenni e indomiti, delle grandi pianure.
Aleggia qualcosa dell’atmosfera del film Gli spietati di Clint Eastwood (al quale, non a caso, il libro è dedicato) e della serie tv “Deadwood” in un ideale continuum, ma Red Country resta, inequivocabilmente, un romanzo di Abercrombie, anche qui, impareggiabile istigatore d’irriverenza e ribaltamenti di prospettiva. I confini tra le cose sono labili e indistinti; non esistono buoni o cattivi, bensì individui lacerati da profondi conflitti di ordine morale e da passati che non passano mai del tutto. Individui che devono fare quotidianamente i conti con la sopravvivenza e con le proprie motivazioni e ambizioni, perseguite anche a costo di ingiustizie terribili.
La vicenda di Tempio è esemplare: sa bene che le sue scelte nuocciono agli altri, eppure non può evitare di compierle perché tiene alla sua pelle più di tutto il resto; malgrado ciò, non smette di sforzarsi di essere migliore, meritevole di rispetto, affidabile e onesto. Il chiaroscuro si fa ancora più netto con Agnello, omone taciturno dalla fama di codardo, che tituba persino a esprimere la propria opinione e sembra non aver mai alzato le mani contro nessuno. In realtà la sua mitezza dipende da una promessa fatta alla donna che amava assieme a quella di vigilare sui suoi figli. Il loro rapimento lo porta a infrangere la parola data per poter tener fede all’impegno di salvare i piccoli, scoprendone la natura violenta e il talento fenomenale di guerriero; dare la morte ai nemici è l’unica cosa che Agnello sa fare veramente bene, questo malgrado le sue nove dita.
Una visione letteralmente dall’interno – un’“insight” come la chiamano gli inglesi – Joe Abercrombie la restituisce anche nell’affrontare il dualismo nativi/civilizzati. Nelle parti raccontate dal punto di vista dei primi, questi, lungi dall’apparire figure sanguinarie e ottuse – come gli Indiani d’America vengono tratteggiati nei western classici interpretati da John Wayne – traboccano di una spiritualità antica e di una mirabile disciplina. Li stanno spogliando della loro terra e della loro cultura, ma gli Spettri continuano a essere sorretti da una dignità tragica. Alle angherie patite dai cosiddetti civilizzati – più che di progresso, invero portatori di malattie, saccheggi, lutti – non possono che reagire strenuamente: ammazzano – magari tagliando le orecchie ai cadaveri e facendone collane da indossare a mo’ di trofeo – ma lo fanno per difendere la loro stessa ragion d’essere, e perché anche gli altri ammazzano e per scopi assai meno nobili. Così al lettore sorge il dubbio se selvaggio sia davvero il nativo, o se invece non lo sia l’uomo occidentale e in misura molto maggiore.
Con Red Country – forse più che mai in Red Country – Abercrombie si conferma maestro d’intrattenimento, capace di travolgere il lettore, concupendolo con la sua empatia disarmante, il suo cinismo rivelatore e il suo humour fosco e dissacrante.
Di Red Country hanno detto:
Joe Abercrombie getta il suo cappello sul genere western ma al contempo persevera nell’intento di trascinare il fantasy – scalciando e urlando a tutto spiano – nel XXI secolo. La sua è una miscela di ingredienti micidiale e inconfondibile: crudo realismo, personaggi complessi – cattivi meravigliosamente disegnati al pari di eroi imperfetti –, scene madri dall’impressionante violenza. Eric Brown - The Guardian
Questo non è l’epic-fantasy dei vostri padri. Abercrombie tenta qualcosa di più audace: un western scritto nello stile dei film di Clint Eastwood ma con un’ambientazione epico-fantastica. E, accidenti, se non fa centro. Red Country non è completamente un western né completamente un fantasy, bensì qualcosa di nuovo, fresco ed elettrizzante con un tocco di Cormac McCarthy nella prosa sobria e secca così come nei dialoghi stringati. David Barnett - The Independent
La lettera d’amore di Abercrombie al western... una lettera che gronda umorismo sinistro, azione e ferocia. Daniel Cairns - Sci-Fi Now
Il miglior libro di Abercrombie. La scrittura è più affilata delle spade con cui si addestrano i suoi personaggi e l’atmosfera western fa aumentare il ritmo del racconto come mai successo prima al padre del fantasy realistico. Marc Aplin - Fantasy Faction
Oltre al ritmo incalzante, Abercrombie regala tanta ironia: uno humour tagliente, spietato, che spesso si tinge di nero e non manca di strappare un sorriso anche nelle situazioni più sanguinose. Stefano Sacchini - Cronache di Un Sole Lontano
Joe Abercrombie è nato nel 1974 a Lancaster (Uk). Sin da studente di Psicologia presso l’Università di Manchester, pensa di scrivereuna saga fantasy dal solido impianto epico-guerresco e ne inizia la stesura. Trasferitosi a Londra per lavorare come montatore freelance e produttore di format televisivi, termina di scrivere il primo episodio, Il Richiamo delle spade, la cui pubblicazione gli vale la candidatura al prestigioso Premio John Campbell. Seguono Non prima che siano impiccati e L’ultima Ragione dei Re. La trilogia – intitolata “La Prima Legge”– viene tradotta in diversi Paesi ed è pubblicata in Italia da Gargoyle. Il suo grandioso successo è confermato dagli stand-alone Il sapore della vendetta, The Heroes e Red Country (sempre disponibili per i tipi di Gargoyle). È in corso di pubblicazione la serie young-adult “La trilogia del mare infranto”, di cui è da poco uscito in Italia Il mezzo re per Mondadori. Abercrombie è fra gli autori della serie della BBC “Worlds of Fantasy”, insieme a China Miéville, Michael Moorcock e Terry Pratchett.
www.joeabercrombie.com
Massimo Bencivenga |